Franco Pulcini, Shostakovic, EDT/Musica, Torino 1988, pp 284, L. 30.000
Uno dei fenomeni che ha contrassegnato la vita musicale di questi ultimi anni Ottanta è la presenza insistente nei programmi dei concerti e nelle incisioni discografiche delle opere di Dimitri Shostakovic, soprattutto delle Sinfonie e dei lavori pianistici e da camera. Shostakovic rappresenta un po’ oggi, come novità del giorno, ciò che negli anni Settanta era stato Mahler, tanto per gli interpreti quanto per il pubblico: ossia un musicista da riscoprire non soltanto per l’intrinseco valore delle sue composizioni ma anche perché costituisce un caso e reca con sé implicazioni e richiami di varia natura, di carattere sia privato, individuale, sia pubblico, storico e sociale. Insomma, Shostakovic è un artista sul quale non mancano argomenti di riflessione. Le vicende della sua vita, anzitutto, si attagliano assai bene al processo di revisione in atto sul recente passato dell’Unione Sovietica, e ne sono quasi una conferma: nel senso che dimostrano quanto sia ormai improponibile continuare a procedere per schemi e luoghi comuni e quanto fosse invece ricca e variegata la situazione storica e politica attraverso cui passò, senza mai perdere i propri connotati, una figura di artista come quella di Shostakovic. Il cui dramma, per noi attuale, fu di continuare a credere ostinatamente nella missione della musica al di fuori di quegli schemi e luoghi comuni: privilegiando dunque l’aspetto espressivo e costruttivo su quello distruttivo e negativo anche quando dall’esterno gli venisse chiesto, in nome di principi che fondamentalmente condivideva ma a cui dava interpretazione diversa, di rinunciare alla tensione della ricerca linguistica e formale in nome delle ideologie.
Naturalmente ciò non basterebbe a spiegare l’odierno interesse per Shostakovic se la musica non ne fornisse basi più solide e sostanziose. Quella di Shostakovic è anzitutto una musica ben scritta, che travalica salvo pochi casi lo stato d’animo e l’atteggiamento dell’avanguardia per intrecciare con sano eclettismo (un eclettismo però anche critico) modernità e tradizione: è brillante e virtuosistica (e ciò spiega perché gli interpreti tecnicamente agguerriti, che oggi sono la maggioranza, la prediligano e l’affrontino con entusiasmo), descrittiva e allusiva, realistica e simbolica, fervida e distaccata. I temi di cui tratta, giacché senza dubbio è possibile leggerne in chiaroscuro la presenza, sono insieme soggettivi e universali: l’anelito alla vita e l’istinto di morte, per esempio, sono motivi costanti della sua poetica, e assumono tratti che variano col mutare del punto di vista, ora solenne, ieratico, o ironico, grottesco, o ancora lirico, contemplativo, amaro, perfino disperato. Ma ciò che più conta è l’ansia mai placata di comunicare, di creare un clima e un sentimento per rispecchiarli nell’invenzione di una fuga tematica o ritmica e di lì costruire una forma, un organismo, un ciclo: per esprimere qualcosa che, anche ove ci appaia eccessivo (il vitalismo da un lato, il tono lugubre dall’altro), non manca di afferrare e di coinvolgere. Com’è tipico di molta arte del nostro secolo anche la musica di Shostakovic non vuole (né può) risolvere o sublimare i conflitti, ma anzi s’impone di lasciarne aperta la soluzione; e accentua, per converso, dubbi e contraddizioni fino all’estremo dell’evidenza, dandocene la rappresentazione: per poi sgombrare il campo e ricominciare da capo. Solo nelle ultime opere la meditazione sulla morte assume un tono ossessivo e quasi oggettivo che sembra escludere ulteriori sviluppi. E solo allora, nel sapore amaro del congedo, si intravede la trasfigurazione: cupa, tragica, ma consapevole e tutt’altro che ininfluente.
Su Shostakovic Franco Pulcini ha pubblicato per la EDT/Musica una monografia che ha il valore di qualcosa di definitivo: un libro esemplare per impostazione, qualità della ricerca, chiarezza espositiva e concisione critica. Chi voglia addentrarsi nel mondo e nella musica di Shostakovic trova qui tutto ciò di cui ha bisogno: tanto sulla vita, nella prima parte, quanto sulle opere, nella seconda articolata per generi. Fra i maggiori pregi del volume va senz’altro annoverata la ricostruzione delle vicende biografiche, che furono assai complesse e non di rado di ardua decifrazione. Rettificando sulla base di precise documentazioni molti passi delle famigerate Memorie postume di Salomon Volkov (precipitosamente accolte in Occidente come “”testimonianza di un sacrificio”” perpetrato ai suoi danni dal regime sovietico), Pulcini ci dà l’immagine del dissidio che Shostakovic visse nel suo intimo fra adesione ideale ai principi della rivoluzione e rifiuto delle imposizioni cui lo volevano costringere il potere e la propaganda di Stalin, e individua in questo conflitto, nella tragica storia della sua nazione e l’URSS degli anni Trenta e Quaranta, lo sfondo da cui trae origine la sua musica. Questo nodo centrale della figura dell’uomo si ripresenta nell’opera e ne diviene tema portante, fino a individualizzarsi – verso il termine della vita – in assorta, solitaria meditazione al di là degli eventi stessi; sicché assai illuminante, oltre che letterariamente bella, è la conclusione di Pulcini: “”L’arte di Shostakovic non avrebbe potuto assumere l’immagine di un’agonia, senza il recupero di figure musicali in cui riconoscere i frammenti della colonna sonora di una vita. Il cielo nero dell’ultimo Shostakovic, screziato di sonorità assorte e tenui ricordi, mostra quanto la stessa arte che ha voluto svecchiare un vocabolario sonoro ormai logoro possa anche servirsi di quelle stesse vecchie locuzioni, consunte ma “”vissute””. Il passato cui volge il sorriso ferito del suo tardo stile non è solo quello della grande tradizione classica, ma il suo stesso universo sonoro: ciò che ha scritto e ascoltato””. Come ogni tardo stile, anche quello di Shostakovic contiene la rivelazione della totalità.
Una bellissima scelta di scritti del compositore occupa la terza parte del volume, prima dei consueti cataloghi e apparati bibliografici. Non si ringrazierà mai abbastanza l’EDT per avere introdotto, nelle sue monografie, quest’abitudine. Fra i quattordici testi qui riprodotti, tutti di straordinario interesse sotto il profilo sia biografico che artistico, spicca, quasi dichiarazione di poetica e d’amore, lo scritto sulla strumentazione del Boris Godunov di Mussorgsky: un modo di realizzare se stesso compiendo l’altrui lavoro con assoluta dedizione e sincerità. Ed è forse proprio questa passione e questa sincerità che ci spingono ad amare oggi la musica di Shostakovic non soltanto nei suoi esiti supremi ma anche nelle sue riconscibili debolezze, o inadeguatezze: emblema anch’esse, forse, del nostro secolo. E a proposito di tempi. Colophon e presentazione c’informano che la pubblicazione del volume è stata promossa. (leggi consentita) dalla Pro.Te.Co. S.p.A. – Cogolo Enginnering di Udine “”come corollario di una esperienza [di rapporti di lavoro con l’URSS] che ha significato fin qui qualcosa di più del semplice business””. Alla Cogolo con Pulcini è andata meglio che alla Juve con Zavarov: ne siamo lieti, e plaudiamo allo sponsor. Ma ciò significa che senza di lui neppure la EDT sarebbe stata in grado di realizzare da sola un volume così importante e prezioso per la nostra cultura musicale?
Musica Viva, n. 7 – anno XIII