Trieste: Volo di notte

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Volo di notte di Dallapiccola fu rappresentato per la prima volta alla Pergola di Firenze nel maggio del ’40. Da allora l’atto unico di Dallapiccola ha fatto il giro del mondo collezionando ben trentasette diverse produzioni: trentotto con quella presentata ora dal Teatro Comunale di Trieste in un allestimento ripreso dall’Opera di Genova (regia di Vera Bertinetti, scene di Ferruccio Villagrossi) e abbinata al balletto drammatico Marsia, nato nel ’48 dalla collaborazione di Dallapiccola con il coreografo Aurel M. Milloss. Non sono molte le opere del Novecento che possono vantare un curriculum simile.

Volo di notte non è l’opera più importante di Dallapiccola (che è Ulisse), né quella complessivamente più ispirata e riuscita (Il prigioniero), ma è senza dubbio la più cordiale e immediata. Riascoltarla oggi suscita una certa tenerezza, soprattutto per l’ansia di comunicazione e di toccante espressività che la pervade, del tutto tipica di un’esperienza giovanile, e sia pure di un compositore impegnato e rigoroso come fu sempre Dallapiccola. Un velo di tenue tristezza si stende sulla partitura facendo risaltare, assai più che la tematica superoministica legata alla figura di Rivière, i ripiegamenti lirici e le tensioni interiori di personaggi che attraversano la vita senza essere capaci di dominarla, eppure carichi di una profonda umanità. L’atmosfera notturna dell’aereoporto nel quale si combatte una dura battaglia nel nome del futuro è continuamente invasa dai richiami dei sentimenti e dei valori della vita, eterni e immutabili: cosicché il vero senso drammatico dell’opera sta nella incapacità di Rivière di conciliare l’imperativo categorico della sua missione con la comprensione delle inquietudini e delle angosce del mondo che lo circonda. La sublime apertura celeste in cui culmina l’opera, con il racconto della scomparsa di Fabien nella concitata immedesimazione del radiotelegrafista e col contrappunto arabescato dei purissimi vocalizzi di una voce interna, trasfigura questi simboli in una visione trascendente di luminoso splendore, tipica della appassionante spiritualità della poetica “”stellare”” dallapiccoliana. Sia in Volo di notte che in Marsia il teatro di Trieste ha dato la misura della civiltà musicale che lo contraddistingue e dell’amore che mette nelle cose che fa. Spiros Argiris ha diretto le due partiture con sciolta sicurezza e sensibile partecipazione, coadiuvato in Volo di notte da rispettose idee registiche e da cantanti sicuramente collaudati (Gianna Amato, Basiola, Tomicich, Di Credico, Bottion). Più modesta l’esecuzione del balletto, forse più a causa della generica classicità mitologica delle coreografie di Tuccio Rigano (che ballava anche Marsia) che della compassata direzione di Argiris. Quel che ancora manca a Dallapiccola per diventare a tutti gli effetti un classico del Novecento è l’attenzione di interpreti (soprattutto direttori) di primissimo calibro, che sappiano estrarre dalla sua musica tutte le ricchezze poetiche e drammatiche: ve lo immaginate un Prigioniero diretto da Abbado o da Muti?

Musica Viva, n. 5 – anno X

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