Wolfgang Sawallisch direttore senz’ombra

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Strauss, Wagner, Mozart, l’amore per la musica, la dignità del teatro, la civiltà del lavoro, nella conversazione d’un maestro che ama la chiarezza

“”Sì, mi aspetta un mese di marzo davvero terribile. E speriamo che il diavolo non ci metta la coda. Italia e scioperi, non è così?””.

Wolfgang Sawallisch sorride quasi divertito. Seduto alla scrivania del suo elegante ufficio, nel quale regna un o-dine perfino impressionante, sembra davvero il capo di una grande azienda. La sua azienda è l’Opera di Stato di Monaco.

“”L’orchestra della Scala è tranquilla, no? L’anno scorso, per il Flauto magico, è stata dura. Ma ho capito benissimo le ragioni dell’orchestra e sono stato dalla loro parte. Io sto sempre dalla parte dei musicisti””.

Durante il mese di marzo, oltre a dirigere alla Scala la nuova produzione della Donna senz’ombra di Strauss, Sawallisch riprende a Monaco con una nuova compagnia di canto Don Giovanni e, nella settimana di Pasqua, Parsifal. Fra Monaco e Milano, dirige venti sere su trenta.

“”Dirigere è la mia vita. Anzi, fare musica è la mia vita. Se si riesce a creare il clima adatto, e questo è anzitutto il mio compito, il resto viene da sé. E una questione di concentrazione mentale e spirituale: stare sul podio non stanca, anzi mi rigenera””.

Ma lei è anche sovrintendente e direttore artistico a Monaco. E questo la impegnerà molto.

“”Quando Rennert lasciò la sovrintendenza, Monaco perse una grande personalità. Con lui avevo lavorato molto bene. Dopo alcune esperienze negative, capii che era inutile perdere tempo a cercare di dividere con altri la mia concezione del teatro. Mi offrirono la responsabilità totale e io accettai. Sento molto il peso di questa responsabilità ma il teatro, oggi, esige rapidità e unita rietà di decisioni. Ho la fortuna di avere buoni collaboratori, e questo è molto importante””.

Ci racconti allora la giornata di un Operndirektor.

“”La mattina alle nove sono in ufficio Alle dieci prove con l’orchestra e poi audizioni. Poi di nuovo lavoro d’ufficio. Se la sera dirigo, il pomeriggio mi concentro e mi preparo per la recita. Altrimenti vengo in teatro e lavoro con i miei aiutanti. Aspetto che si alzi il sipario, e quando tutto è tranquillo torno a casa a studiare. Ma spesso mi piace anche sentire la recita, ascoltare il lavoro degli altri, distendermi con la musica””.

E davvero la giornata di un capo d’azienda…

“”Non vorrei essere frainteso. Noi produciamo arte, cioè qualcosa di magico e di straordinario, che esige la nostra partecipazione più totale. Idealmente, ogni nota che risuona dovrebbe essere il risultato di uno stato di grazia: profondità e gioia insieme. E anche divertimento, felicità di fare musica. Per questo non ho mai rinunciato a suonare il pianoforte: oltre a imparare moltissimo dai cantanti e dagli strumentisti con cui collaboro nella musica da camera, sento il bisogno di avere un contatto diretto con la musica, di crearla con le mie mani e la mia fantasia. Tutto questo non è però in contraddizione con la necessità di un’organizzazione capillare e paziente. Nel mio atteggiamento di fondo, non c’è differenza fra lo scrivere una lettera per il funzionamento del teatro, ascoltare un giovane cantante o dirigere una grande opera di Wagner o di Strauss. Cerco di dare sempre il massimo di me stesso; e so essere molto critico ed esigente con me stesso, prima ancora che con gli altri. La musica è la mia vita, e ringrazio Dio ogni giorno per avermi dato questa possibilità di essere un musicista. Sa quali sono i momenti più belli della mia giornata? Quando, dopo una recita ben riuscita, torno a casa e ho ancora davanti a me due, tre ore per starmene da solo con una partitura, ristudiarla e rimeditarla. Sono solo nel silenzio della notte e la musica risuona in quel silenzio dentro di me; allora capisco veramente quale dono incommensurabile sia la musica; e starei lì tutta la notte, se non dovessi pensare anche al giorno dopo””.

Lei parla poco di sé, e spesso questo viene scambiato, come dire, per pudore se non per freddezza. Ricordo che tre anni fa, quando si festeggiarono i suoi sessant’anni, lei ringraziò alquanto imbarazzato e quasi con fastidio, dicendo pressappoco: io continuo per la mia strada, in solitudine, non capisco che cosa vogliate da me. Eppure attorno a lei c’erano tanti amici, tanta gente che le vuole bene e che le è grata…

Sawallisch si fa quasi duro. “”Detesto perdere il mio tempo con i discorsi. Appartengo a una generazione per la quale contano i fatti, non le parole. Nella mia formazione ho avuto la fortuna di conoscere gente di poche parole, ma di straordinaria umanità e personalità. Knappertsbusch, Wieland Wagner, Carl Orff… Le ho già raccontato, mi pare, quell’episodio con Knappertsbusch a Bayreuth. Riprendevo per la prima volta l’Olandese volante che lui aveva diretto. Ero terrorizzato. Alla fine della prova generale, me lo trovo davanti al mio camerino, lungo e grande quant’era. Avrei voluto sparire. Knappertsbusch mi guardò fisso negli occhi, un istante che mi parve un’eternità. Poi mi posò una mano sulla spalla e tuonò, con la sua voce inconfondibile: Bravo! Non dimenticherò mai quello sguardo e quell’unica parola. A volte basta uno sguardo per capire, non crede?””

Per il ruolo che ha a Monaco, lei è però costretto a esporsi non soltanto come musicista. E questo può portare a dei fraintendimenti.

“”Ho scelto io questa posizione e so bene quali sono i rischi. Cerco di essere coerente con le mie scelte e le mie idee del teatro. Soprattutto cerco, talvolta con sforzo, di capire le realtà e le situazioni del mondo di oggi. E anche della musica di oggi””.

Non è un caso che lei abbia organizzato a Monaco due intere settimane dedicate al teatro musicale del Novecento, con tutte le opere più importanti del nostro secolo e addirittura due prime mondiali.

“”In questa stagione presentiamo quattro novità assolute: una di Sutermeister, uno svizzero, una di Ferrero, un italiano, una di Kirchner e una di Reimann, due tedeschi. Non so se siano in assoluto i migliori che potevamo scegliere: si tratta però di scelte serie e coerenti. E’ importante sia per il pubblico che per gli artisti del teatro confrontarsi con la musica moderna; è un segno di vitalità. Come direttore dell’Opera di Monaco, cerco di armonizzare le opere del repertorio con quelle del nostro secolo e dei contemporanei. E quasi un dovere, direi. E io stesso mi ci impegno. Ho appena fatto un Liederabend con Julie Kauffmann tutto dedicato ad autori del Novecento. E ho dovuto studiare, eccome!””

Si dice che i direttori d’orchestra siano gelosi dei colleghi che dirigono nel loro teatro. È vero?

“”Non so che cosa sia la gelosia. La musica è una cosa troppo seria per esseri sottomessa alle nostre piccolezze. I1 mio compito è presentare a Monaco tutti i migliori direttori e cantanti: ogg questo è più difficile di un tempo perché quasi nessuno è ormai più disposto a legarsi a un solo teatro e in Germania, come sa, il teatro è legato al repertorio. Dunque incontro difficoltà oggettive: semmai, più che geloso, sono molto preoccupato di questa situazione””.

Kleiber, per lei, è una croce o una delizia?A Monaco è molto amato…

“”Come artista e musicista, una assoluti delizia. A lui ho affidato la prima produzione della mia sovrintendenza, Wozzeck; ma poi Kleiber ha rinunciato, mettendomi in difficoltà. Cerco continuamente di creare le condizion perché Kleiber diriga da noi: abbiamo grandi progetti, che per scaramanzia non voglio rivelare. Kleiber è un uomo difficile, ma io lo rispetto e lo ammiro molto; qualche volta vorrei che comprendesse che anche io, come direttore del teatro, ho bisogno di programmare con certe garanzie di sicurezza””.

E veniamo all’Italia. Io so perché lei torna così spesso da noi.

“”Ah sì, e perché?””.

(Tento, non sapendo come lui la prenderà). Ma per i carciofi fritti! Sawallisch prima trasalisce, poi s’illumina. Meno male, penso, è andata.

 “”Ah, mi piacciono molto. Da noi non si mangiano così. E mica solo quelli. L’allegria della gente, il calore umano… Riesco ad apprezzare anche la vostra irrequietezza, la vostra improvvisazione… Sembra che nulla debba funzionare, e poi alla fine tutto va a posto; arriva uno e ti fa: ‘visto, Maestro, che le avevo detto? Stia tranquillo’. Questo mi mette di buon umore, anche se da tedesco…””

Che cosa trova di speciale in Italia, carciofi a parte?

“”Sarà un luogo comune, ma in Italia vive davvero lo spirito di una grande, unica tradizione musicale. Appena io dò un attacco a un’orchestra italiana, mi rendo conto subito che dietro c’è questa tradizione, questa straordinaria propensione al canto e alla sensibilità per il suono. Poi, naturalmente, c’è molto da lavorare, ma alla fine i risultati sono sempre ottimi e per me sempre istruttivi. Non potrei fare a meno del contatto con questa civiltà, con questa gente, offrendo in cambio la mia esperienza di musicista tedesco. Per me, è un dare e un avere continuo. Sono molto felice di tornare ogni anno alla Scala e a Roma con l’orchestra di Santa Cecilia: in aprile a Roma dirigerò la Passione secondo Matteo di Bach, che ho fatto in tutto il mondo fuorché a Monaco””.

Perché?

“”Io credo molto nel rispetto di certe tradizioni e di certi stili. A Monaco il nome di Bach è legato al ricordo di Karl Richter, ed è giusto che il suo coro e la sua orchestra continuino a fare Bach secondo quella tradizione. Forse un giorno, al momento giusto, anch’io entrerò a far parte di questa tradizione””.

Se dovesse dire qual è la sua migliore qualità, che cosa risponderebbe?

“”Non sta a me dirlo, potrei apparire presuntuoso. Ma credo di avere una qualità; e questa posso dirla, perché non dipende da me, ma semmai dai miei genitori: io sono un ottimista, uno che vede sempre i lati positivi delle cose e cerca di non arrabbiarsi mai. Credo che ciò dipenda dal fatto che sono nato a Monaco e ho il carattere del bavarese: energico, felice di vivere, ma anche ironico e autocritico. Sono stato molto fortunato ad avere questo carattere””.

Questo spiega anche la sua affinità con Strauss…

“”Di Strauss ammiro molto la forza di esprimersi e di comunicare attraverso la musica un senso di perfezione ideale, classica, mescolando la tragedia e la commedia. Anche nei momenti più duri, più drammatici, fa capolino il sorriso, la comprensione della imperfezione umana. Strauss ha molto sofferto nella sua vita, ma non si è mai lasciato andare ad atteggiamenti negativi o distruttivi. Credo che ciò dipenda dal fatto che la musica non può essere negazione e distruzione, ma, al contrario, superamento dell’angoscia e della morte. Per questo noi esistiamo. Lei ricorda il poema sinfonico Tod und Verklärung? Voi in italiano dite Morte e Trasfigurazione, ma non è la stessa cosa: Verklärung dà l’idea della luce, di qualcosa che rischiara e illumina, rende le cose più trasparenti e lucide. Ecco, questo è per me la musica. Ma per tornare a Strauss, sono felice di annunciare che nel 1988-89 faremo a Monaco tutto Strauss, e io dirigerò la maggior parte delle sue opere in un ciclo unitario e integrale. E la realizzazione di un sogno della mia vita””.

Prima però c’è questa Donna senz’ombra a Milano.

“”Ah già, quasi me ne dimenticavo. Speriamo bene. Dunque, l’orchestra ora è tranquilla. Ma non ci saranno scioperi all’aeroporto? Devo pensare anche a Monaco. Ed è vero che a Linate la nebbia non è più un problema?””.

Musica Viva, n. 3 – anno X

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