La Dessì figlia di Danao

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Ravenna – Già quando venne riroposta alcuni anni fa alla Sagra Musicale Umbra in forma di concerto, Les Danaïdes di Antonio Salieri (1750-1825) sembrò un capolavoro nel quale le consuete e pur possibili letture in funzione di altri musicisti e coevi e di lui più grandi (da Gluck a Mozart, da Cherubini a Beethoven, che fu suo allievo) finivano per essere più che parziali, ingiuste.

Ma di equivoci, quest’opera composta nell’augusto genere della tragedie-lyrique fu circondata fin dai suoi inizi. Concepita in orgigine da Calzabigi per Gluck sull’onda del successo di Orfeo e Alceste, venne riadattata in francese dagli stessi librettisti con cui Gluck aveva lavorato per le versioni francesi delle sue opere italiane; ma, da lui infine rifiutata, fu posta in musica da Salieri, allora trentatreenne. Ciò nonostante, quando l’opera apparve per la prima volta a Parigi nel 1784, ne figuravano autori, a due mani, Gluck appunto e Salieri; e solo a successo consolidato, dopo la dodicesima replica, la finzione fu svelata.

L’ombra di Gluck, in questa rivisatazione tragica del mito delle figlie di Danao, assassine dei loro mariti nella notte delle nozze su istigazione del padre e per punizione condannate a espiare le loro colpe nei tormenti del Tartaro, è comunque presente sullo sfondo: nell’introduzione, pagina di straordinaria intensità sinfonica che immette già nel clima corrusco dell’opera, nei cori, sempre partecipi dell’azione, nei pezzi d’insieme, che preparano a risolvono in gestuale plasticismo la progressione drammatica. Ma la man odi Salieri, e la tradizione italiana ormai prossima a raggiungere con Mozart la fusione dei generi, si avverte nel disegno melodico che regge gli episodi solistici, estendendosi e emanando calore dalle arie ai recitativi e di qui al mezzo carattere degli ariosi.

Il modo in cui il pezzo chiuso si amplia nella continuità della scena, assorbe e rilancia gli squarci sinfonici in un declamato vigoroso e fremente, mescoldando effetti contrastanti e ravvivando formule retoriche della convenzione, rivela in pieno l’individualità di un compositore che non soltanto conosce i trucchi del mestiere ma sa anche commuoversi e reagire di fronte alle sollecitazioni dello stile elevato.

La prima ripresa scenica moderna offerta da Ravenna Festival al Teatro Alighieri era dunque un’occasione importante per riconoscere il vero volto di Salieri proprio nell’ambito suo specifico con Les Danaïdes. Se l’operazione di recupero era leggitima, più di un dubbio rimane sul modo, alquanto discutibile, in cui si è proceduto: ossia con pesanti manomissioni dell’integrità del testo, ridotto veramente all’osso dopo potature e tagli di ampiezza notevolissima.

Ciò a cui si è assistito era appena un susseguirsi confuso e genericamente concitato di momenti drammaturgicamente quasi incomprensibili, anche se impressionanti; nei quali si poteva intravedere l’originalità dei nessi e degli snodi drammatici, ma non coglierli realizzati compiutamente sulla scena. E davvero non si capisce perché, una volta tanto deciso di ripresentare un’opera così importante e singolare, non si sia poi avuto il coraggio di andare fino in fondo, rispettandone le proporzioni, le articolazioni, le giustezze.

Il rammarico è anche maggiore considerando la qualità complessiva dell’esecuzione. A Gianluigi Gelmetti, concertatore scrupoloso e attento, si potrebbe richiedere forse maggior propensione a differenziare le sonorità, nell’animare il fraseggio e l’espressione. Tende invece piuttosto a creare un’emozione dell’impatto immediato con la musica, senza porsi determinati problemi di proprietà stilistica. È una strada possibile, oggi. L’altra, forse ancora più convincente, è quella che segue Pierluigi Pizzi con regia, scene e costumi: definire un clima poetico di classico decoro, e al suo interno differenziare con tocchi sobri i diversi momenti e livelli dell’azione alternando simboli mitici con interventi realistici su personaggi e situazioni.

Nella parte della protagonista, Ipermestra, la figlia di Danao che disubbidisce e si riscatta per amore, Daniela Dessì ha dato una delle sue prove più belle e mature: forte temperamento, sicurezza della voce in ogni registro, esatte intenzioni di gusto sempre. Accanto a lei, la giovanissima Francesca Pedaci ha confermato di avere classe e doti spiccatissime, che ne fanno un elemento destinato a una sicura carriera. Nella pattuglia degli uomini Jean-Luc Chaignaud ha trattegiato un Danao molto autorevole e giustamente scabro, mentre Raul Gimenez ha retto con forza e generosità l’arduo impegno del tormentato Linceo. A posto, negli altri ruoli, Germano Gandolfi, Carlo Bosi e Aldo Orsolini.

L’orchestra e il coro (ben preparato da Piero Monti) del Teatro Comunale di Bologna hanno fatto la loro parte come meglio non si poteva.

«Les Danaïdes» di Salieri al Teatro Alighieri di Ravenna (repliche domani e dopodomani).

da “”Il Giornale””

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