Il lavoro nella versione originale francese, a metà strada tra il mistero medievale e la passione-oratorio, ha aperto la stagione sinfonica del Comunale. Applausi meritatissimi per la protagonista Marthe Keller, voce recitante, e per la compagnia di canto, nella quale si sono distinte le giovani Nakamaru e Frittoli
Firenze – Ai molti meriti accumulati in tanti anni di carriera, Gianandrea Gavazzeni ne ha aggiunto un altro, secondario se si vuole, ma di cui i fiorentini debbono essergli grati: aver reso meno spiacevole il trasferimento al Teatro Verdi, sala acusticamente buona ma estremamente disagevole, dell’attività del Teatro Comunale, chiuso, per inagibilità, a tempo indeterminato. E, cosa questa non secondaria, averlo fatto alla grande, coinvolgendo tutte le forze del teatro per riproporre, a inaugurazione della stagione sinfonica d’autunno, un lavoro importante, di rara esecuzione e di difficile definizione: l’oratorio drammatico di Arthur Honegger, sul poema vertiginoso di Paul Claudel, Giovanna d’Arco al rogo (nella versione originale francese, Jeanne d’Arc au bucher).
Composto alla metà degli anni Trenta su richiesta della famosa attrice e ballerina Ida Rubinstein, ed eseguito per la prima volta a Basilea nel maggio 1938 con la stessa Rubinstein nel ruolo, recitato, della protagonista, questo lavoro si colloca a metà strada fra il mistero medievale, la passione-oratorio e l’opera; o meglio, secondo sviluppi tipici del teatro novecentesco, tutti questi generi riplasma in originalissima sintesi. Originale è anzitutto il punto di vista di Claudel, che colloca la vicenda nel momento supremo in cui Giovanna, già incatenata e in attesa di venir giustiziata sul rogo, ripensa al corso della sua vita, cui la conclusione imminente conferisce un senso definitivo. In un prologo e undici scene strettamente collegate, ma distinte per avvenimenti e simboli, sfilano a ritroso nella memoria gli episodi cruciali; dall’infanzia spensierata alla lotta eroica contro gli inglesi, fino all’accusa di stregoneria e alla condanna a morte: fine necessaria della sua missione, è affrontata da ultimo in gioiosa catarsi ed esaltazione dell’amore.
La funzione della musica non è però solo quella di commentare le visioni di Giovanna, voce recitante, e delle figure ricreate dalla sua fantasia, voci che dalla declamazione si aprono alla melodia e al canto, ma soprattutto di suggerire un clima di incantamento e di sospensione, nel quale il dramma ora si riverbera ora progressivamente si annulla, lasciando un alone di vivida poesia sonora, continuamente tendente alla trasfigurazione degli stessi elementi di cui è costituito. Nasce di qui, da questa particolare atmosfera poetica e musicale, il fascino speciale dell’opera, e la difficoltà di renderla in modo adeguato senza scadere nell’enfasi o nella fredda illustrazione.
La grande cultura e la sensibilità di Gavazzeni erano le armi migliori per presentare la Giovanna d’Arco di Claudel e Honegger nella forma di un dramma tutto immaginario, più evocato che concretamente realizzabile in una dimensione scenica; e bastavano davvero pochi tocchi nella disposizione degli attori e dei cantanti, come qui si è fatto, per attuare anche in concerto una drammaturgia concentrata ed essenziale. Ma, oltre a ciò, la lucidità e l’energia, straordinarie, di cui il direttore sembra miracolosamente fornito anche a ottantuno anni felicemente compiuti hanno saputo rivelare, della partitura raffinatissima, non soltanto la tensione dell’azione ma anche la freschezza eclettica, e i valori prettamente musicali.
Il merito va naturalmente condiviso con gli ottimi interpreti vocali: da Marthe Keller, protagonista splendida per rigore, varietà espressiva e comunicativa, e Georges Wilson, agli altri recitanti, Sergio Ciulli e Paolo Falace, alla compagnia di canto, nella quale si sono distinte le giovani voci di Michiè Nakamaru e Barbara Frittoli, accanto a quelle già sperimentate di Ambra Vespasiani, Denes Gulyas e Aurio Tomicich.
Guidati magistralmente da Gavazzeni, l’orchestra, il coro luminoso di Roberto Gabbiani e quello di voci bianche dell’Aureliano istruito da Bruna Liguori Valenti hanno dato una prova di forte impegno, bellissima per duttilità, precisione e cura del suono. Si da condurre il pubblico all’entusiasmo e da far dimenticare che per Firenze è cominciata una stagione dura: lietamente, con una serata di qualità alta.
«Giovanna d’Arco al rogo» di Honegger, al Teatro Verdi di Firenze (oggi ultima replica).