Armida, una maga in parodia

A

Armida non era stata finora mai rappresentata a Pesaro. Collocata quest’anno in apertura del festival, nella versione integrale basata sull’edizione critica, doveva costituire un’occasione di verifica nel luogo istituzionalmente dedicato alla riproposta dell’intero corpus

musicale di Rossini. Che si tratti di una partitura magnifica, rigogliosa nella parte- vocale e impreziosita da inaudite finezze strumentali, ricca di sviluppi concertenti e di fioriti pezzi d’insieme, lo si sapeva già dalle sue fugaci, precedenti apparizioni.

Ciò che si chiedeva al Rossini Opera Festival era di fissare con un’esecuzione di riferimento la posizione di quest’opera nella storia del suo autore e del Melodramma ottocentesco, in sé e nel suo genere. E a questo invitava a sperare la lunga attesa.

Affidandone la realizzazione scenica a Luca Ronconi il Festival Rossini ha puntato invece sull’interpretazione eccentrica, sulla parafrasi (in questo caso parodia) riscritta e firmata. Le scene di Francesco Calcagnini e i costumi di Vera Marzot evocano nel primo atto imprese coloniali, nel secondo un postribolo in piena regola (con nudi e danze grottesche), nel terzo un vago ambiente lunare: il tutto con la supervisione ironica e simbolica del regista. Resta il dato di fatto che le indicazioni del libretto, e dunque della musica per esso composta, sono ignorate e scavalcate, sostituite da un’idea tangenziale che procede per incastri e sovrapposizioni, fino a creare una sorta di variazione sul testo in cui il teatro, con le sue contaminazioni, macchine e doppi, diviene reinvenzione. Caricatura e provocazione. Il prodotto era nuovo, il prezzo già scontato, prendere o lasciare: lo mostrò infatti, secondo copione, la consueta reazione dei fischi e degli applausi alla fine. I primi rivolti al regista, allo scenografo e alla costumista, i «colpevoli» della manipolazione.

I secondi invece destinati agli artefici musicali. Nel gioco delle parti, una domanda: è proprio così che un festival intitolato a Rossini deve assolvere alla sua funzione primaria?

Armida pone compiti ardui agli interpreti musicali. La parte della protagonista percorre tutti gli stadi della passione, dall’esaltazione furiosa al ripiegamento interiore: ora eccitando il fuoco della fantasia in abbellimenti e cadenze, ora cristallizzandosi in contemplazioni di forte intensità lirica. Renee Fleming ne è uscita con onore, talvolta con convincente brillantezza; soprattutto nei momenti in cui le vestigia antiche del Belcanto si dissolvono in aspre lacerazioni drammatiche: là dove la maga spogliata dei suoi sortilegi si scopre vittima di sentimenti contrastanti. Il finale, precipitato e scabro, celebra in modo inconsolabile un senso di vanitas vanitatum che emerge come la cifra piú segreta di tutta l’opera: quasi che Rossini, dopo aver vuotato tutte le risorse della fantasmagoria inventiva, fosse lui stesso, come l’eroina, attanagliato da una perdita irreversibile, già premessa non troppo lontana del distacco definitivo dal mondo illusorio del teatro. Ronconi qui ha un’intuizione felice nell’avvolgere la vertigine di Armida in un vuoto di oscurità che l’inghiotte e la consegna all’abisso.

Armida è l’unico ruolo femminile, il centro del dramma. Neppure Rinaldo, che pure ha pagine di grande rilievo, costituisce un vero antagonista: anch’egli brilla nella luce di lei (ma il duetto del primo atto è degno, nel suo genere, di un paragone sorprendente con l’incontro di Tristano e Isolda), e quando se ne distacca per obbedire all’onore è come privato della ragione di vita.

Gregory Kunde ha reso assai bene il personaggio, confermandosi cantante di duttile intelligenza. Resta aperta, per tutti gli altri della compagnia, una questione di stile vocale: punto su cui c’è molto da lavorare ovunque.

A dirigere l’orchestra e il coro del Comunale di Bologna era Daniele Gatti, che non da oggi va proponendosi come interprete del Rossini serio. È un cammino lungo il quale va seguito con rispetto e attenzione.

La foga e la ricerca dei particolari espressivi lo portano talvolta a esagerare, a perdere di vista le proporzioni dell’insieme, l’assoluta evidenza del gesto classico. Ma ha il coraggio di rischiare sempre, e d’interrogarsi dentro la musica: ben sapendo che la sua meravigliosa naturalezza non può piú essere oggi frutto di spontaneità, ma conquista di continue riflessioni di ripetute prove.

Armida, al Teatro Rossini di Pesaro, repliche il 12, 14 e 17 agosto

da “”Il Giornale””

Articoli