Si chiude stasera al Teatro Comunale con il secondo concerto diretto da Claudio Abbado la «Primavera 1993» di Ferrara Musica, festival entrato fra gli appuntamenti della stagione non tanto per astratte ragioni di prestigio spettacolare, come un po’ era all’inizio, quanto per la solidità e la normalità delle sue proposte, affidate a interpreti di rango internazionale, con programmi e autori massimamente rappresentativi del repertorio classico: una scelta che ha contribuito a creare una continuità non di facciata ma di sostanza. Punto di forza del Festival è la presenza stabile della Chamber Orchestra of Europe, complesso di molte virtù e di qualità costante nel tempo, fra l’altro capace di esprimere prime parti all’altezza di affrontare luminosamente lavori non proprio elementari come il Quintetto con clarinetto K. 581 di Mozart e il «Quintetto della Trota» di Schubert.
Quando alla guida della Chamber torna Abbado l’impressione è di una sintonia perfetta. Nel programma di venerdì sera figuravano la Sinfonia n. 98 di Haydn, il Concerto per pianoforte K. 467 di Mozart con Radu Lupu e la Quarta Sinfonia di Beethoven: nei generi del classicismo viennese, opere capitali, di svolta. Ed è proprio questo aspetto che ne veniva sottolineato. Eseguita con tutti i ritornelli, la Sinfonia di Haydn acquistava un peso piú consistente, uno spessore più compatto, un gesto piú perentorio: che Abbado accentuava sia nel senso della drammaticità dei contrasti, piú che tematici, armonici e figurativi, sia nella vivacità del gioco strumentale, costellato di vere e proprie sorprese teatrali; tra cui una, davvero inattesa, giungeva alla fine, quando Abbado, abbandonato il podio, si è seduto al clavicembalo per accompagnare la cadenza finale al basso continuo. Era un po’ la cifra della sua lettura, che recuperava gioiosamente il senso storico della tradizione nel momento stesso in cui, della partitura, metteva in luce i valori piú autenticamente sinfonici.
Anche alla Quarta di Beethoven, Abbado ha impresso uno slancio energico, teso e lucido, insistentemente alla ricerca di un suono vibrante, incisivo, tenuto tutto «alla corda». Piú prolematico l’incontro con Radu Lupu nel Concerto di Mozart. E non solo perché era la prima volta che i due collaboravano insieme. Lupu è un pianista indecifrabile, che sembra uscito da una cartolina ingiallita di epoche remote e indistinte, ma non disdegna pensose riflessioni, tenere intimità col suono. Ciò significa che l’arco della frase ora si sospende, ora si tende in impercettibili sfasature, per cogliere un punto culminante non necessariamente prevedibile.
Se è vero che nei Concerti di Mozart è contemplata una certa varietà di atteggiamenti improvvisativi, Lupu non pone limiti all’estro della ricreazione. Abbado l’accompagna con finezza, ma si intuisce che di Mozart ha un’altra visione, piú equilibrata e rotonda. Il successo è comunque strepitoso, con bis dell’Allegro finale, staccato a tempo vertiginoso. Questa sera toccherà a Maria Joâo Pires suonare con Abbado un altro Concerto di Mozart, il K. 453, tra l’ouverture dall’opera Il mondo della luna di Haydn e la Seconda sinfonia di Schubert.
da “”Il Giornale””