Mito Karajan

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Un volume di “omaggi” esalta il direttore d’orchestra

Pare che nel ricevere il fascicolo a lui dedicato dalla rivista «Chaplin» per il suo settantesimo compleanno, Ingmar Bergman abbia esclamato sorpreso: «Ma che ho fatto di male perché tutti scrivano così bene di me?». Non altrettanto avrebbe potuto dire l’altro grande festeggiato dell’anno appena concluso, Herbert von Karajan: per il semplice fatto che il volume (non un fascicolo, s’intende) in onore del Rector Magnificus della musica mondiale l’aveva confezionato il suo Famulus, Peter Csobàdi, sotto la supervisione diretta del Maestro. E chissà che il motto posto in epigrafe prima delle citazioni da Schopenhauer e Max Reinhardt («Affinché il passato resti, perenne presente, nel futuro»: mica male) non sia stato dettato, benché porti la firma di Csobàdi, da Lui stesso: in un momento di estasi meno controllata.

Karajan oder die kontrollierte Ekstase («Karajan o l’estasi controllata», come suona il titolo originale nella lussuosa edizione italiana, purtroppo poco curata nella traduzione) non è ciò che i tedeschi chiamano una Festschrift, ossia un volume di scritti in onore di un festeggiato, bensì un rito di glorificazione per «un artista che è già leggenda»; o, più modestamente, un «suggello della sua fama», come propone Csobàdi. Il quale, non essendo dotato di poteri soprannaturali, si è dovuto limitare a raccogliere e pubblicare, per gli ottant’anni del maestro, gli omaggi di alcuni eccellenti testimoni contemporanei;. non solo musicisti e artisti, ma anche personalità del bel mondo e della finanza, della Chiesa (come il cardinale Koenig) e della politica (Michel Guy non meno di Helmut Schmidt). Tutti impegnati a dimostrarsi all’altezza delle aspettative.

Giacché, nonostante l’aggettivo «critico» fatto scivolare nel sottotitolo accanto a «omaggio», in questo libro Karajan è contemplato come il motore di un universo che da lui riceve luce e ragione, o almeno giustificazione: sicché solo chi è entrato nella sua orbita può spiegarci le meraviglie di quel sole. E se ciò vale per gli artisti che hanno collaborato o avvicinato il maestro, i critici fanno ressa per procurarsi almeno un biglietto di invito una tantum (ma va dato atto al nostro Pinzauti, che si stacca dal coro, di aver tentato un profilo serio dell’attività di Karajan in Italia, paese non a caso disprezzato ed evitato ormai da anni); lasciando proprio agli «estranei» (come l’Aga Khan, il divertentissimo Hans Weigel, il malizioso Raimund Le Viseur, che dopotutto si è fatto un nome su «Playboy») le pagine più fresche e vive, ossia eccentriche.

Sia chiaro: Karajan merita tutta la nostra ammirazione e gratitudine. Ma era proprio necessario, spargere l’incenso per officiare il rito? Non. è forse la stessa grandezza di Karajan frutto delle sue tensioni e contraddizioni, del destino di una rovina che aspira alla trasfigurazione, alla bellezza, all’illusione, confondendo in. una Splendida apparenza le terribili visioni di un mondo superiore?

Non cercate qui, in questo libro, le tracce che svelino il mistero e avvicinino, nonostante la distanza del mito, al fenomeno Karajan; godetevi invece le belle fotografie, i succosi aneddoti, le amene divagazioni, le ingenuità banali, le palesi mistificazioni, gli inni di ringraziamento. Ma quando arriverete a quella superba pagina in cui Ingmar Bergman narra il suo incontro con Karajan, nella sua autobiografia forse allora avverrà la rivelazione: ed ecco la sostanza vera, devastante, dietro la facciata dorata,. quella parte di noi che osa riflettersi, anche nei grandi personaggi per farli nostri.

 

Peter Csòbaldi (a cura di), “Karajan o l’estasi controllata”, Vallardi, pp. 320, lire 50.000

da “”Il Giornale””

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