Incanta il Boris al naturale

I

Il Comunale di Firenze ha riaperto con l’edizione del capolavoro di Musorgskij

Riapre per l’ennesima volta dopo un’ulteriore tornata di lavori (ma ormai da queste parti respirare un po’ di amianto è quasi più igienico che passeggiare per le strade), il Teatro Comunale di Firenze, con il Boris Godunov di Musorgskij nella versione originale curata da Pavel Lamm: primo titolo di una stagione lirica breve ma intensa, cui basterebbe per dare lustro la presenza della Donna senz’ombra di Strauss (incredibile: finora mai rappresentata a Firenze, sia pure in un allestimento proveniente dalla Scala). Anche il Boris è uno spettacolo importato (dal Comunale di Bologna: regia, ripresa da Lorenza Cantini, scene e costumi di Yannis Kokkos); non creando nulla di nuovo in questa stagione (il terzo titolo, Cenerentola, ritorna nella gloriosa regia di Ponnelle, nata proprio a Firenze) il Comunale si mostra sensibile al momento di crisi del Paese, e concentra le forze prima di tutto musicali in attesa di sparare le sue batterie al Maggio: saggia sospensione, da prendere quasi ad esempio se fossa il preludio di nuove strategie produttive.

Il Boris è una di quelle cinque o sei opere in predicato di venir scelte, per esser portate con sé nell’isola deserta, compagni di sempre pití desiderabili, solitudini al riparo del rumore del mondo. Magari lì si avrebbe finalmente tempo e calma per risolvere la questione, intricatissima, delle diverse versioni, dei tagli e delle suture. L’edizione Lamm fu un punto di arrivo importante perché riportava tutto il materiale esistente alla lezione originaria, ma non offriva, né offre, soluzioni pratiche per la realizzazione scenica. E neppure musicale, giacché la strumentazione di Musorgskij, nella sua crudezza, è evidentemente incompleta, e non può fare a meno, ci sembra, delle integrazioni proposte dall’edizione critica di David Lloyd-Jones, che distingue nettamente la prima dalla seconda, ideale versione. E in quest’ultima cresce nell’ultimo atto una scena (San Basilio), cui peraltro, è difficile rinunciare per la sua intrinseca, barbarica genialità.

A Firenze non si volevano riaprire queste ardue questioni, ma semplicemente riproporre l’opera nella sua sostanza originaria, ancorché imperfetta. L’impostazione scenica di Kokkos, limpida e funzionale, faceva sì che la vicenda si dipanasse con chiarezza e fedeltà, senza volerne dare una interpretazione di tendenza: il ripristino degli utilissimi sopratitoli in italiano, oltretutto realizzati con misura ed eleganza, consecutiva a ognuno di capire e immaginare da sé gli sviluppi. La serissima preparazione musicale, affidata al direttore Evgenij Kolobov e a una compagnia di canto molto puntuale, cui coro e orchestra davano contributi essenziali, garantiva una qualità di insieme indiscutibile. Svettarono, come previsto, il magnifico Ruggero Raimondi, nel ruolo cupo del titolo, Olga Borodina, e Vitalij Tarakenko nelle parti dei giovani rampanti. Vladislav Piavko e Lucio Gallo (un bel debutto) in quelle degli intriganti per opposti principi. Ma tutti fecero veramente la loro parte, sonoramente applauditi dal pubblico. Ce ne fossero, di riprese come queste: non sapremmo ancora dove andare, ma sicuramente da dove partire per darci un obiettivo.

 

Boris Godunov di Musorgskij al Comunale di Firenze, repliche i1 31 gennaio, 3, 6 e 9 febbraio



da “”Il Giornale””

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