Ecco Don Carlo, il lato oscuro di Verdi

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La prima della Scala: oggi alle 18 si alza il sipario, in teatro anche il presidente Scalfaro

 Tutto pronto per l’inaugurazione: la direzione di Muti, la regia di Zeffirelli e il debutto di Pavarotti nel ruolo saranno le chiavi di lettura per un’opera anomala del grande compositore

 

A qualcuno potrà sembrare strano, conoscendone le abitudini, che Riccardo Muti non abbia scelto la versione originale e integrale del Don Carlos in cinque atti del 1867 ma quella italiana in quattro atti del 1884. In realtà questa versione è l’unica delle quattro per così dire ufficiali (Parigi 1867; Napoli 1872; Milano 1884; Modena 1886) a presentare un carattere inequivocabilmente compiuto nell’articolazione drammatica e nella forma musicale. Senza che ciò autorizzi ad affermare che sia la migliore o la definitiva, essa costituisce comunque un punto fermo nella genesi assai travagliata e complessa, protrattasi per quasi vent’anni, dell’opera.

L’Edizione integrale delle varie versioni in cinque e quattro atti pubblicata nel 1980 dalla Ricordi a cura di Ursula Günther e Luciano Petazzoni ci aiuta a fare luce sul cammino creativo percorso da Verdi e sulle sue trasformazioni. Già la versione rappresentata al1’Opéra di Parigi 1’11 marzo 1867, in cinque atti piú il balletto, era amputata rispetto alla concezione originaria da tagli effettuati durante le prove; ed è arduo stabilire fino a che punto Verdi li approvasse o dovesse invece subirli. Se l’edizione napoletana del 1872 non si discosta fondamentalmente da questa che per alcune, peraltro significative, alterazioni, quella andata in scena alla Scala di Milano il 10 gennaio 1884, in quattro atti senza balletto, è assai piú di una semplice revisione, e non solo contiene nuova, grande musica, ma si pone anche in un diverso spazio e tempo drammatico (qualcosa di analogo, ma a prospettive invertite, accade per esempio nel Boris Godunov di Musorgskij). Il concetto di opera aperta è implicito nella storia stessa del teatro musicale ottocentesco: nel caso dei Don CarlosDon Carlo è una prerogativa della sua concezione attraverso le diverse realizzazioni. E l’una non esclude l’altra.

Si aggiunga che Verdi compose il Don Carlos in francese e lo revisionò in francese: tuttavia le traduzioni furono da lui approvate e l’edizione «composita» modenese del 1886, pubblicata come «nuova edizione in cinque atti senza balletto», apparve solo in traduzione italiana. Oggi che tutto questo vasto materiale è disponibile nell’edizione critica, spetta agli interpreti operare scelte ugualmente legittime ove siano capaci di ridare vita alla musica e al dramma, respiro ed efficacia scenica alla parola: traducendone lo spirito che sta oltre il segno scritto, nella sua verità.

 

 

Il LIBRETTO

 

Niente antefatto, subito nel chiostro a intonare «io la vidi e il suo sorriso»

 

L’edizione di «Don Carlo» che va in scena oggi è in quattro atti. L’antefatto della foresta di Fontainebleau in cui l’Infante di Spagna Don Carlo incontra Elisabetta di Valois, destinatagli in sposa, e se ne innamora, non esiste piú ma l’azione immette subito nella Spagna assolutista dove la principessa francese è andata in sposa, per ragioni di alleanze politiche, al padre di Don Carlo, il re di Spagna Filippo II.

Atto primo – Nel chiostro del convento di San Giusto, dove è sepolto l’imperatore Carlo V, il coro salmodiante dei frati ricorda che anche il grande re ormai «è muta polve» mentre Don Carlo, venuto a cercare sollievo all’impossibile amore per Elisabetta, ripensa con struggimento al loro primo incontro («Io la vidi e il suo sorriso». Sopraggiunge l’amico fraterno Rodrigo, marchese di Posa, che lo invita a scordare l’amore infelice recandosi a soccorrere le popolazioni delle Fiandre sofferenti sotto l’oppressione della monarchia spagnola. In un luogo ridente alle porte di San Giusto le dame della regina cantano e danzano. La bella principessa di Eboli intona una canzone moresca. A Elisabetta che esce dal convento Carlo chiede di intercedere presso il re perché lo lasci partire per le Fiandre ma l’emozione di rivederla è tale che cade a terra svenuto. Sopraggiunge il re al quale il marchese di Posa chiede libertà per le popolazioni fiamminghe. Colpito dal coraggio del marchese, il re gli offre la sua amicizia confidandogli anche, in un attimo di abbandono, la sua solitudine e i suoi sospetti su Carlo ed Elisabetta.

Atto secondo – Don Carlo giunge nei giardini della regina per incontrarsi segretamente con lei ma è la principessa di Eboli, innamorata del principe, a giungere mascherata all’appuntamento. La delusione dell’Infante quando si rivela è tale che la principessa, furiosamente gelosa, giura di vendicarsi. Intanto in una piazza di Madrid si fanno i preparativi per un grande «auto-da-fé». Frati e popolo si prostrano osannanti al re, quando compare Carlo che guida una deputazione di fiamminghi giunti a chiedere clemenza per la propria terra. Filippo la rifiuta e Carlo, sdegnato, sguaina la spada contro il padre ma Rodrigo lo disarma.

Atto terzo – Solo nel gabinetto reale, Filippo riflette dolorosamente sulla mancanza d’amore che tutti gli dimostrano, compresa Elisabetta («Ella giammai m’amò»). Entra il Grande Inquisitore mandato a chiamare dal re che vuole sapere se giustiziando il figlio ribelle avrà il perdono della chiesa. L’Inquisitore glielo concede ma chiede anche la testa del marchese di Posa. Sopraggiunge la regina per chiedere a Filippo di aiutarla a ritrovare i gioielli che le furono sottratti. Lo scrigno è nelle mani di Filippo (lo ha avuto dalla principessa d’Eboli) che, nell’aprirlo, scopre il ritratto di Carlo. Elisabetta respinge disperata l’accusa di adulterio e restata sola con la Eboli ne riceve la confessione del tradimento. Nelle segrete dov’è imprigionato Don Carlo, Rodrigo giunge a salutarlo per l’ultima volta: sa già di essere la vittima designata dell’Inquisizione, cui si sacrifica per salvare l’amico. Mentre esorta Carlo a non dimenticare gli ideali di libertà, Rodrigo viene colpito a morte dal colpo di archibugio di un sicario.

Atto quarto – Elisabetta prega inginocchiata sulla tomba di Carlo V («Tu che le vanità conoscesti del mondo») . Giunge Don Carlo a congedarsi per sempre e, salutandolo per l’ultima volta, Elisabetta lo incita a combattere per i suoi ideali. Li sorprende il re, che arriva seguito dal Giovane Inquisitore e dal Santo Uffizio. Le guardie si avventano su Don Carlo che indietreggia verso la tomba di Carlo V. Il cancello si apre, appare l’Imperatore e trascina Carlo nel chiostro sottraendolo alla vendetta del re.

 

MUSICA

Piccola guida alle melodie più famose

Il Don Carlo, anche nella compatta versione italiana del 1884 che giustamente la Scala ha scelto per l’esecuzione di stasera considerandola come tradizione propria, rimane un’opera molto complessa, vasta e articolata. Una piccola guida musicale condotta su alcuni, non tutti, degli incipit e degli spunti melodici piú famosi, può essere un aiuto mnemonico per la serata ma non rende l’idea di come davvero l’opera sia costruita.

Ecco comunque un indice delle diverse parti del Don Carlo.

Atto I, 1: Preludio, introduzione e scena del Frate.

Atto I, 2: Coro e scena – Canzone del velo di Eboli – Scena e Terzettino dialogato (Elisabetta, Eboli, Rodrigo) – Gran scena e duetto (Elisabetta, Don Carlo) – Scena-Romanza di Elisabetta – Scena e duetto (Filippo, Rodrigo).

Atto II, 1: Preludio – Scena, duetto e terzetto (Eboli, Don Carlo, Rodrigo).

Atto II, 2: Gran finale.

Atto III, 1: Introduzione e scena (Filippo) – Scena (Filippo, Grande Inquisitore) – Scena e Quartetto (Elisabetta, Eboli, Rodrigo, Filippo) – Scena (Elisabetta, Eboli) – Aria di Eboli.

Atto III, 2: Morte di Rodrigo e sommossa.

Atto IV: Scena e aria (Elisabetta) – Scena e duetto d’addio (Elisabetta, Don Carlo) – Scena finale

da “”Il Giornale””

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