Il chiaro Crepuscolo di Sinopoli

I

Un esemplare recital di musiche wagneriane in forma di concerto

Il primo atto della Walkiria (solisti Sabine Hass, Robert Schunk e Hans Sotin), poi, del Crepuscolo degli dei, il Viaggio di Sigfrido sul Reno, la Marcia funebre e il Finale, ancora interpretato dalla Hass: con questo programma Giuseppe Sinopoli ha chiuso le manifestazioni musicali di Taormina Arte, ribadendo non solo la legittimità di eseguire Wagner in forma di concerto, secondo una tradizione accettata dall’autore stesso e proseguita da tutti i maggiori direttori della scuola storica e non, ma anche la sua esemplarità. L’accostamento alla rappresentazione dell’Elektra di Strauss e a un concerto nel quale figuravano la Settima e la Terza Sinfonia di Beethoven costituiva quasi un raccordo storico, nel quale proprio lo specifico del linguaggio wagneriano emergeva in tutta la sua individualità. E mai come questo riscontro pratico la recente famigerata idea di ridurre la Tetralogia a pot-pourri orchestrale è parsa insensata, prima ancora che empia. Ci sono in Wagner momenti culminanti che si risolvono in squarci sinfonici di totale autonomia, e momenti non meno decisivi nei quali il testo diviene veicolo dell’elaborazione tematica e del dramma realizzato e reso visibile sulla scena: togliere a questi la parola e sostituirla con la sola orchestra distrugge il fondamento stesso della concezione musicale, come se a un dipinto si mutasse il disegno o lo si scambiasse con il colore.

Neppure un gioiello a sé nel tesoro della Tetralogia come il primo atto della Walkiria può fare a meno del teatro, ma non lo impone materialmente: il teatro diviene nell’assenza un luogo della memoria e dell’illusione, un lampo che acceca e si spegne. Parole e musica sono qui in grado, forse per l’ultima volta, di surrogare perfino l’azione. Dà pensiero piuttosto il fatto che i cantanti in grado di affrontare queste parti con gli accenti e i requisiti richiesti scarseggino alquanto, e si sia costretti ad arrangiarsi con titolari inventati, come in questo caso.

Sinopoli ha diretto con rude chiarezza di idee, risultando convincente soprattutto nel Finale del Crepuscolo. Qui non soltanto ha dipanato il colossale riepilogo dei temi con slancio grandioso ma ha anche trasfigurato l’apocalittico crescendo nell’apparizione del motivo della redenzione, facendone insieme l’apice di un congedo che si compie e il simbolo inquietante di un nuovo inizio. La marcia funebre di Sigfrido era invece condizionata da una visione antieroica che Sinopoli aveva già nettamente delineato nella sua esecuzione dell’intero ciclo a Santa Cecilia qualche anno fa, e che rientra in quella lettura a tesi che della sua interpretazione dell’Anello costituisce tratto caratteristico. Ma che salto di qualità nella compattezza e nella resa stilistica rispetto ad allora. Un po’ in difficoltà la Philharmonia di Londra, del tutto a suo agio e felice invece il pubblico che gremiva il Teatro Antico.

da “”Il Giornale””

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