Il premio pianistico di Bolzano ad Anna Kravtchenko, sedici anni.
Dopo quattro edizioni consecutive senza vincitori (che erano un record) il concorso pianistico internazionale «Ferruccio Busoni» di Bolzano ha pescato il jolly e l’ha subito calato chiudendo questa volta la partita con un verdetto unanime, pienamente condiviso anche dal pubblico che come sempre seguiva appassionatamente le vicende della competizione. La vittoria è andata a una ragazzina di 16 anni, Anna Kravtchenko, ucraina, che quasi senza volerlo si è trovata protagonista, come pare, di una fiaba a lieto fine. Si dice che avesse partecipato al concorso quasi per gioco, al punto da non aver neppure preparato a fondo i due Concerti per pianoforte e orchestra delle prove finali, nella convinzione che mai ci sarebbe arrivata. E invece, dopo aver sbaragliato il campo nelle esibizioni solistiche con Schumann, Chopin e Beethoven, si è trovata a un passo dalla vittoria; e quell’ultimo passo ha affrontato di slancio, mettendo in mostra un talento ragguardevole e una freschezza di intenzioni (dire idee sarebbe troppo) capaci di camuffare anche l’evidente acerbità.
A dire il vero nel Primo Concerto di Liszt ha anche pasticciato parecchio, dando quasi l’impressione di improvvisare: ma lo ha fatto in modo cosa attraente e istintivo da attirarsi tutte le simpatie e imporsi definitivamente sugli altri due concorrenti. I quali erano un italiano, Fabio Bidini, giunto secondo, e un americano, Mark Anderson, cui è toccato il terzo posto. Entrambi hanno faticato assai per venire a capo del Secondo di Rachmaninov, finendo per tirarsi da soli la zappa sui piedi e lasciar via libera graziosamente alla vispissima fanciulla.
Vera o falsa che sia tutta questa storiella, si dimostra una volta di piú che i concorsi sono ormai diventati una scommessa affidata al caso (forse questo voleva dire Michele Campanella abbandonando intempestivamente la giuria): se la Kravtchenko diventerà una nuova Zilberstein, si dirà che al «Busoni» lo avevano capito per primi; altrimenti, pazienza, e avanti un altro.
Un premio speciale istituito dalla Rai, con una giuria a parte, sarebbe dovuto andare alla migliore esecuzione di Beethoven: del quale erano resi obbligatori una Sonata e, nella prima prova finale con orchestra, un Concerto. Novità senz’altro apprezzabile, degna del «Busoni». Altrettanto significativo però che questo premio non sia stato assegnato. Non abbiamo ascoltato le prove solistiche, ma in quelle con orchestra (che era come di tradizione la «Haydn» diretta da Alun Francis) il panorama è stato quasi desolante: a parte qualche buon momento della Kravtchenko nel Terzo e promettenti segnali di gusto e misura venuti da Giovanni Bellucci (poi eliminato) nel Quarto, i concorrenti si sono sciolti come neve al sole. Non si scherza con Beethoven. E non si bara. Neppure i jolly allora bastano. Almeno fino a prova contraria. E questo la giuria speciale del «Premio Beethoven» l’ha capito benissimo.
da “”Il Giornale””