A Ravenna ritorna l’opera di Cimarosa, troppo spesso relegata nei teatri minori
Cast notevole diretto con inutili forzature da Gelmetti – La regia di Hampe vanifica l’eleganza del dramma
Ravenna – Il matrimonio segreto, dramma giocoso di Giovanni Bertati per la musica di Domenico Cimarosa, è del 1792. Segue quindi di un anno la morte di Mozart e coincide con l’anno di nascita di Rossini: duecento anni fa, appunto. Si poteva pensare che la ricorrenza invogliasse a piú di una riproposta: anche fuori di un Festival come quello di Ravenna, dedicato quest’anno al tema «Rossini e dintorni». Fino a qualche tempo fa capitava d’incontrarla spesso anche nei teatri piú importanti. Ed era sempre un piacere riascoltarla. Poi il mutar delle esigenze e delle convenienze teatrali suggerì di considerarla soprattutto un’opera da concorso per voci giovani, decentrata in piccoli teatri. Fu un errore. Perché se è vero che il cast con i suoi sei personaggi pressoché equivalenti quanto a importanza drammatica e impegno vocale, nonché la mancanza del coro, invitano superficialmente a tenerla per tale, è altrettanto vero che si tratti a tutti gli effetti di una grande opera, per la cui rappresentazione occorre una compagnia di cantanti non solo già formati ma anche di prim’ordine. E tali erano senza equivoci quelli assai applauditi al Teatro Alighieri di Ravenna. A cominciare dalle amorose e dagli amorosi, ossia Laura Cherici (Elisetta), Nuccia Focile (Carolina), William Matteuzzi (Paolino) e Natale De Carolis (il Conte Robinson), che ebbero tanto nelle arie solistiche quanto negli insiemi momenti incantevoli. A voler proprio sottilizzare si potrebbe attribuire la lode alla Cherici per la limpidezza della dizione e a De Carolis per la efficacissima presenza scenica, e rilevare invece nella Focile qualche asprezza negli acuti, in Matteuzzi una tendenza a stimbrare i suoni nel passaggio. Ma sono quisquilie di fronte a prestazioni cosí omogenee e ammirevolmente duttili. Bruno De Simone è un Geronimo forse ancor troppo giovane e di voce poco profonda; ma dove trovare un altro basso buffo cosí finemente tratteggiato, misurato e preciso nel canto? Gloria Banditelli come Fidalma è quasi un lusso: fondamentale la sua presenza nella scrittura differenziata di Cimarosa.
Molte perplessità nascevano invece dalla concertazione di Gianluigi Gelmetti, nonostante l’ottima prova dell’Orchestra della Toscana. Gelmetti ribalta di un bel po’ le proporzioni caricando le tinte in modo innaturale e forzando i tempi fino all’eccesso. Non si capisce perché abbia reso cosí incalzante, nervoso e invadente l’accompagnamento, talvolta dimenticandosi la cucitura con il palcoscenico, né con quale logica alternasse indugi retorici a corse precipitose. I recitativi, non sempre mirati alla comprensione delle parole, erano filologicamente realizzati da fortepiano, violoncelli per accordi e contrabbasso: a noi ricordavano il suono sferragliante e misterioso dei vecchi tram di città, e tanto bastò a farci intenerire.
L’allestimento proveniva dal Teatro dell’Opera di Colonia, ma doveva esser stato lodevolmente ripulito e sfrondato di quelle amenità di cui solitamente il regista Michael Hampe fa sfoggio in questo repertorio. Solo che a furia di togliere e sfrondare, di un lavoro di regia identificabile è rimasto poco; e quasi nulla della vivacità e pungenza dell’azione scandita dalla musica. Si passa da un eccesso all’altro: in questo genere di opere dalle sfumature delicate par che si debba per forza o far ridere grossolanamente per gag sgangherate o ridurre tutto alla plumbea seriosità del finto elegante. Peccato: perché sulla scena (unica e un po’ opprimente di Jan Schulbach) gli interpreti, pur abbandonati a se stessi, lasciavano intuire ottime qualità anche di attori.
«Il Matrimonio segreto» di Cimarosa al Teatro Alighieri di Ravenna (repliche questa sera, 1119 e 20 luglio).
da “”Il Giornale””