A Firenze ha diretto la London Philharmonic, l’orchestra che festeggia 60 anni di attività
Una delle bacchette piú prestigiose del mondo attraversa un periodo di ripiegamento, come ha dimostrato il pur applauditissimo concerto al Comunale incentrato su musiche di Mozart, Stravinskij e Rimskij – Korsakov
Firenze – Non sono centocinquanta come quelli dei Filarmonici di Vienna, ma anche i sessant’anni della London Philharmonic meritano una segnalazione. Creata nel 1932 da Thomas Beecham, direttore di rango nel ristretto cenacolo dei grandi, quest’orchestra si è conquistata un posto d’onore nel pur ricco panorama delle orchestre stabilmente attive a Londra, piú di ogni altra mantenendosi fedele alle sue tradizioni. Anche se partecipa ogni anno al festival di Glyndebourne, la sua attività si svolge soprattutto in sede e assolve alla funzione di salvaguardare, alternando i direttori, il grande patrimonio sinfonico dell’Ottocento, a rotazione. L’avevamo ascoltata qualche settimana fa a Londra nell’integrale di Brahms affidata a Sawallisch, e l’impressione fu assai positiva: bello spessore e flessibilità di suono, virtuosismo sempre misurato, naturale propensione a un’espressione intensa e stilisticamente consapevole, tutt’altro che compassata.
Questa impressione è stata confermata dai due concerti italiani della tournée intrapresa dall’orchestra per festeggiare il suo anniversario, con tappe a Ferrara e Firenze: per i quali a guidarla è stato chiamato Zubin Mehta. Nell’occasione si poteva avanzare qualche perplessità sulla scelta del programma, forse pensato con criteri un po’ superficiali di vetrina: nell’ordine Pulcinella di Stravinskij, Eine kleine Nachtmusik di Mozart e la suite sinfonica Shéhérazade di Rimskij-Korsakov. Ma se l’obiettivo era mettere in mostra la bravura dei solisti, ebbene il risultato c’è stato: carrellata di primi piani per tutti nelle miniature neoclassiche di Stravinskij e menzione speciale per il primo violino Henrik Hochshild nella rutilante partitura di Rimskij, come sempre molto apprezzata dal pubblico.
Mehta ha diretto con la consueta, impeccabile sicurezza tecnica, risultando tuttavia stranamente rinunciatario di fronte alle funamboliche invenzioni di Pulcinella e alquanto generico nella elegante Serenata notturna di Mozart. Non è da oggi che si avverte una misteriosa involuzione nella carriera di questo direttore, cui per doti e capacità quasi nulla sarebbe precluso. Mehta si è voluto liberare da impegni stabili dopo essere stato per anni a capo della Filarmonica di New York; ma neppure a Firenze, dove pure continua a essere un punto di riferimento come direttore ospite principale, la sua presenza è servita a limitare i danni della crisi e a legarsi a nuovi progetti di vera importanza.
Di ciò si è avuta la conferma nelle sue esecuzioni con la London Philharmonic. Soltanto a sprazzi, per esempio in certe magnifiche accensioni di Shéhérazade, evitando la retorica sempre in agguato, si ritrovava la zampata di classe di un artista evidentemente ancora molto amato dal pubblico: come dimostravano gli esauriti sia a Ferrara che a Firenze e l’accoglienza davvero cordialissima, ripagata con due fuori programma entusiasmanti di Elgar e Dvoràk.
da “”Il Giornale””