La democrazia tra gli spartiti

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Con Muti sul podio i Wiener Philharmoniker festeggiano oggi i loro 150 anni

L’orchestra ebbe come padrino Otto Nicolai nel marzo 1842 e da allora obbedisce ad un proprio statuto: ogni scelta viene fatta collettivamente dai suoi membri compresa quella dei direttori, che non sono mai stabili. Richard Strauss ne sottolineava l’unicità, ravvisata da Furtwaengler nella sua natura viennese. La prima tournèe con Mahler e l’amore-odio per Karajan

Questa mattina nel Goldener Saal del Musikverein a Vienna Riccardo Muti dirige un concerto un po’ speciale: si festeggiano i centocinquant’anni dei Wiener Philharmoniker, una delle orchestre sinfoniche piú celebri al mondo. In realtà la festa di compleanno è leggermente anticipata, dato che gli impegni della adorabile vecchietta sono ancora tanti e non sempre coincidono con i numeri solenni, o con la disponibilità dei direttori (<<saremmo perfetti>>, disse una volta un Filarmonico, «se non avessimo bisogno anche noi dei direttori»). Fu infatti il 28 marzo 1842 che Otto Nicolai, l’autore dell’opera Le allegre comari di Windsor, organizzò per la prima volta a Vienna un «grande concerto dell’orchestra dell’imperial-regio Teatro dell’Opera di Corte»: una «accademia filarmonica», come allora venne chiamata, che segnò l’atto di nascita dei Wiener Philarmoniker. Con criteri fin dall’inizio precisi, fissati in uno statuto che da allora a oggi non è cambiato di una virgola e che è alla base del durevole successo dell’istituzione.

Sono quattro le regole fondamentali dell’“idea della Filarmonica”. La prima è che possono far parte solo musicisti stabili dell’Orchestra dell’Opera di Stato (un tempo di Corte) di Vienna. Le due orchestre – quella sinfonica e quelle d’opera – non sono la stessa cosa (spesso su questo si equivoca ancora), ma l’una proviene dall’altra e ne è per cosi dire la scrematura; si potrebbe dire, parafrasando il Wagner dei Maestri cantori, che un Filarmonico deve essere un membro dell’Opera, ma prescelto dall’orchestra stessa. Col che si viene agli altri tre, decisivi punti: la responsabilità artistica, organizzativa e finanziaria è interamente, direttamente e autonomamente affidata all’orchestra; tutte le decisioni vengono prese dall’assemblea generale con voto «democratico»; il vero e proprio lavoro amministrativo è svolto da un comitato di dodici rappresentanti eletti «democraticamente» dall’assemblea. Così dice lo statuto: se mettiamo le virgolette al termine democratico è perché dall’esterno ci pare che esso sottintenda anche, e questa è la sua forza, un senso sottilmente aristocratico, se non oligarchico.

Per esempio nei rapporti coi direttori. La Filarmonica di Vienna è l’unica grande orchestra di rango mondiale a non aver mai avuto, nei centocinquant’anni della sua storia, un vero direttore stabile. Nell’Ottocento, e fino al 1933, l’orchestra ingaggiava un direttore per una stagione e gli affidava la direzione dei “concerti filarmonici in abbonamento”, che già allora potevano aver luogo solo eccezionalmente il sabato pomeriggio e la domenica mattina (essendo gran parte dell’orchestra di turno la sera in teatro). La regolamentazione di questi concerti sinfonici, basati esclusivamente sul massimo repertorio classico tedesco, avvenne nel 1860 e si stabilizzò, con incremento dell’attività, nei decenni successivi. Mantenendo tuttavia la stessa impostazione: tra i nomi più ricorrenti dei direttori «stagionali» figurano tra gli altri quelli di Hans Richter, Gustav Mahler, che fu il primo a portare l’orchestra in tournée per l’Esposizione Universale di Parigi nel 1900, Felix von Weingartner, Wilhelm Furtwaengler e Clemens Krauss. Poi, dal 1933, si impose un altro sistema, tuttora vigente: quello dei direttori ospiti invitati espressamente dall’orchestra per uno o piú concerti o per una tournée. Ma già da tempo la Filarmonica di Vienna poteva permettersi di scegliere solo fra i grandi, e anche fra questi di distinguere.

L’autonomia gestionale è dunque la premessa della sua esistenza. Piú che la disciplina, i fattori essenziali della sua fama sono l’omogeneità, la naturalezza del sentire e la sicurezza di sè; perfino l’intransigenza, testimoniata prima da rifiuti memorabili (anche ingiusti) verso i compositori e poi da scontri accesi con il principio di autorità dei direttori (per esempio la lunga altalena di amore e odio con Karajan). Questi elementi possono portare anche controindicazioni, quando al carattere e alla musicalità del singolo direttore l’orchestra opponga la forza della sua individualità. Giacché quest’orchestra, che possiede come poche altre un suo atteggiamento e personifica una sua concezione del suono, reagisce istintivamente e automaticamente al carattere e alla musicalità del direttore e sa piegarsi ai suoi estri e alla sua tecnica, ma senza perdere mai la propria identità. In che modo, lo ha spiegato assai bene Maurizio Papini domenica scorsa recensendo l’imponente documentazione discografica collegata all’anniversario.

Nel bellissimo discorso del 1942 per il centenario della fondazione, Wilhelm Furtwaengler chiariva in che cosa consistesse l’unicità del suono dei Wiener Philharmoniker: «Per quanto paradossale possa sembrare, la ragione risiede nella circostanza che l’Orchestra Filarmonica è un’orchestra esclusivamente viennese. I suoi singoli componenti sono, a parte qualche trascurabile eccezione, tutti veri viennesi, per lo piú nati a Vienna o, comunque, in questa città educati e attivi fin dalla giovinezza. È la scuola viennese di flauto, di oboe e di clarinetto, sono le scuole e la tradizione viennesi del fagotto e del corno, degli ottoni, della percussione, degli archi, quelle da cui discendono, i singoli componenti di quest’orchestra, senza eccezione. […] L’omogeneità di stirpe e di scuola non costituiscono soltanto il presupposto del suono dei Filarmonici in quanto tale, ma anche dell’unità del sentire, dell’orientamento uniforme degli impulsi musicali. C’è in quest’orchestra una mirabile sicurezza in tutte quelle cose che vorremmo indicare come connesse alla pura sfera vitale del fare musica, una ingenita forza e naturalezza delle reazioni istintivamente musicali. Ecco perché si tende ad accogliere con riluttanza e disagio tutto ciò che è astratto e troppo intellettuale’in musica e a rifiutare con quieta ma irremovibile coerenza ciò che è sforzato, puramente voluto, puramente pensato, tutto ciò che vuole essere piú “”progresso”” che musica».

Poco è mutato, da allora. La Filarmonica di Vienna continua a coltivare la tradizione con una fedeltà addirittura ostinata; e ciò proprio mentre le orchestre internazionali di virtuosi, compresa la grande rivale di sempre, i Berliner Philharmoniker, tendono ad appiattirsi e ad assomigliarsi tutte. Il segreto sta nel fatto che i Wiener non si possono identificare con un direttore, anche eccellente, ma soltanto con se stessi: e c’è da credere che per nulla al mondo rinuncerebbero a questa prerogativa.

Richard Strauss, che piú di ogni altro collaborò con loro per quasi quarant’anni, scrisse nella sua lettera di auguri del centenario che «soltanto chi li ha diretti sa che cosa siano i Wiener Philharmoniker». Ci permettiamo di correggere il grande maestro: anche chi li ha sentiti. E se a tutti è capitato qualche volta di sognare di dirigere un’orchestra, beh, l’orchestra dei sogni piú magici è proprio questa.

da “”Il Giornale””

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