Lupu solitario per Schubert

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All’Accademia Chigiana di Siena

In un concerto senza sentimentalismi

Siena – Radu Lupu e Schubert, nel concerto inaugurale della stagione dell’Accademia Musicale Chigiana al Teatro dei Rinnovati. Due Sonate di spessore molto diverso, quella in la maggiore op. 120 e l’ultima in si bemolle maggiore opera postuma, separate dai Quattro Improvvisi op. 90. E’ una conferma: Lupu è non soltanto uno dei pianisti tecnicamente piú formidabili che si possano oggi ascoltare ma anche un interprete originale fino all’eccesso. In Schubert la tecnica non pare avere rilievi vistosi o assumere proporzioni virtuosisticamente monumentali: con Lupu diviene il mezzo per creare un’estrema varietà di sonorità, una nitida impalcatura di immagini saldate da una forte tensione musicale. E qui sta appunto, nella gamma di sfumature brillanti e di accenti introversi, nella chiara individuazione e nella resa calibrata dei piani sonori, uno degli aspetti formidabili della sua tecnica.

Lupu rifugge da ogni immagine sentimentale di Schubert. Con lui non c’è traccia di pathos esibito, di contemplazione lirica, ma piuttosto ricerca controllata del dramma immanente, della tragicità insita nel modo di comporre e di sentire schubertiano attraverso il pianoforte. È un atteggiamento, il suo, che punta ad una sorta di solipsismo assoluto, come se l’interprete suonasse in solitudine per il compositore e per se stesso prima ancora che per il pubblico.

L’originalità di Lupu si manifesta tanto nei dettagli quanto nella concezione generale della forma. Una certa tendenza a non far risaltare mai, neppure nei cantabili, la melodia distinta dall’accompagnamento, a rovesciare quasi i rapporti per sottolineare le funzioni armoniche e le nervature ritmiche, può sembrare talvolta fin troppo dimostrativa. Ma ne deriva una proposta concreta: la melodia in Schubert non è il vertice che riassume in sé ogni altro valore, non è pura bellezza e consolazione, bensí trama di suggestioni velate di malinconia e di nostalgia, che emerge in una lontananza quasi estatica. Lupu possiede il segreto per dare a questo distacco il senso di una partecipazione profonda, di un’intensa carica.espressiva. L’oggettività sembra essere per lui la via piú diretta per ricreare lo stile: un’oggettività che accetta anche le convenzioni, e ne fa anzi la base per mettere in luce lo spirito di un soggettivismo quasi dispotico.

Fatto singolare è la scelta dei tempi. Lupu li sostiene quasi a voler dare a ognuno di essi un’importanza speciale e un decorso autonomo; senza cercare, neppure nell’ultima Sonata, un collegamento che racchiuda univocamente la forma. Un altro elemento di coesione, quello dell’ordinamento ciclico, viene smontato dalle fondamenta: nella sequenza della Sonata in si bemolle maggiore Lupu vede piuttosto una progressione che proprio nel sempre piú veemente incalzare del tempo raggiunge la sospensione di coordinate formali tradizionali, e si libera in uno spazio sconosciuto, impervio, che apre prospettive inaudite al processo stesso della Sonata.

Se un principio vale nella sua visione di Schubert, è quello del contrasto: e lo dimostravano gli Improvvisi, costruiti sulla contrapposizione di due idee tematiche che si sviluppano in sezioni compiute, senza mediazione. La loro collocazione al centro del concerto aveva l’aria di un’intenzione programmatica; il cui senso si rispecchiava, a poli opposti, nella frammentaria, quasi neoclassica esecuzione della Sonata in la maggiore e nella plasticità accentuata da forti chiaroscuri della Sonata in si bemolle, vista piú come un nuovo inizio che come il suggello della produzione pianistica di Schubert. E infatti di lí partivano i fili verso l’Intermezzo op. 117 n. 2 di Brahms, eseguito come bis: questo si, davvero, un’epigrafe del pianoforte.

 

Radu Lupu in concerto (questa sera replica a Perugia)

da “”Il Giornale””

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