Parsifal appare esattamente alla metà del primo atto, dopo una lunga serie di episodi frammentari (per la prima volta Wagner rinuncia significativamente alla suddivisione in scene) che hanno gettato ombre sinistre sul mondo del Graal. Già il preludio aveva opposto alla luminosità di figure intatte la nervosa inquietudine di una minaccia di rovina. Ciò che precede l’entrata di Parsifal è la descrizione di una situazione di impotenza: il risveglio di Gurnemanz annuncia un giorno uguale a tutti gli altri, scandito da riti ripetitivi. Amfortas, il re malato, viene portato al bagno nel lago sacro; Kundry, la messaggera selvaggia, irrompe recando un balsamo per la ferita del re. Ma tutti sanno che nulla di ciò gioverà. Gurnemanz rievoca le vicende del peccato di Amfortas e la terribile punizione ricaduta non solo su di lui ma su tutta la comunità. Anche questa è un’indicazione: il mondo del Graal vive nella memoria, senza futuro, e questa memoria è macchiata dalla colpa. L’unico segno di speranza è il presagio apparso ad Amfortas: la redenzione sarà possibile solo a un puro folle reso sapiente dalla compassione.
A questo punto entra in scena Parsifal. A differenza dei custodi del Graal, Parsifal non ha memoria, ma solo presente. Di sé non sa nulla, a nulla risponde. Agisce inconsapevolmente, come quando abbatte il cigno. Il suo passato è tutto racchiuso nell’oscuro ricordo della madre abbandonata. Inizia il processo di ricostruzione della coscienza: prima per rivelazioni che gli provengono dall’esterno (Kundry), poi attraverso una lunga ricerca sulla propria identità. Ma perchè si produca la metamorfosi è necessario che la stoltizia sia scossa da una visione: ed è quanto avviene quando Gurnemanz lo conduce nel tempio del Graal e lo fa assistere al sacro rito.
Di cuin Parsifal intende solo la disperazione umana, lo strazio incontenibile di Amfortas: fino a svenirne. Il testo e la musica esprimono questo primo stadio della sua iniziazione: il tempo diventa spazio, la musica, azione, come in un sogno.
Il secondo atto si apre con una battuta significativa: «Die Zeit ist da», è giunto il tempo. Klingsor non accenna soltanto al fatto che finalmente Parsifal è rimansto irretito nelle sue trame, ma sa – e Parsifal lo apprenderà fra poco – che la prova decisiva è alle porte: lo scontro di memoria e coscienza. Ritroviamo qui Kundry in figura mutata: Kundry agisce quando non ricorda e ricorda quando non agisce. La sua seduzione comincia chiamando Parsifal per nome e prosegue associando l’idea dell’amore a quella della madre perduta: prima, di fronte ai richiami sessuali delle fanciulle-fiore, Parsifal era rimasto infatti del tutto indifferente. Per Parsifal il bacio di Kundry è chiaramente di carattere edipico: ma mette in moto una catena di reazioni che collegano il dolore della scoperta alla scoperta del dolore: ora Parsifal sente su di sé la piaga di Amfortas. La sua follia non è piú pura, è segnata dalla compassione. In questo momento Parsifal diventa sapiente nella rinuncia al suo eterno presente.
Il terzo atto è il percorso a ritroso del primo, con dimensioni spaziali e temporali rovesciate. Già il preludio annuncia questo mutamento di prospettiva: ora i motivi del Graal non sono piú figure statiche, vette isolate che si innalzano su un promontorio desolato, ma il risultato del cammino della conoscenza. La simbologia dell’incantesimo del Venerdí Santo è evidente: la natura si risveglia e partecipa estaticamente alla rinascita degli uomini. Parsifal chiede: «Non dovrebbero essere in lutto gli animali, le piante in questo giorno?». E Gurnemanz, come guardando lontano: «Essi partecipano a un mistero che gli uomini hanno dimenticato». Solo ora Parsifal ha fatto le esperienze che gli consentono di capire questo mistero: e può officiare il rito a cui era predestinato. Occupando il suo spazio vitale, riconquista anche il suo tempo perduto.
«Parsifal» è un’opera che riempie gli spazi infiniti della memoria, del sogno, e li rappresenta in un arco ampio, ma necessariamente limitato, diventando azione e liberandosi nella musica. Paradossalmente il suo unico difetto è quello di durare effettivamente troppo poco.
da “”Il Giornale””