Il carteggio Mahler-Strauss
L i dividevano solo quattro anni, ma era come se appartenessero a due mondi diversi. Il destino volle che l’uno, il grande «inattuale», si liberasse della polvere terrena proprio quando, dopo aver già toccato l’apogeo della fama come direttore, cominciava a essere riconosciuto anche come compositore; mentre l’altro, il vero «attuale», di quattro anni piú giovane gli sarebbe sopravvissuto per ben trentotto anni, portando a compimento una carriera piena di riconoscimenti e di onori, osannato anche quando i contenuti delle sue opere sembravano perdersi in lontananze mitiche, in ardue speculazioni di forme ideali e di sentimenti a bella posta raffreddati.
Inattualità, attualità, che cosa significano questi termini da sempre riferiti a Gustav Mahler e Richard Strauss? Il carteggio fra i due, ora disponibile in una buona traduzione italiana di Artemio Focher, è un piccolo libro capitale che aiuta a comprendere molte cose, non solo il diverso atteggiamento nei confronti della vita e dell’arte, ma soprattutto la natura, profondamente diversa, della loro personalità. E che si tratti di due personalità forti e decise fino alla cocciutasggine, capaci anche di scontrarsi frontalmente senza mai perdere la stima e la fiducia reciproche, è un fatto che balza agli occhi in tutta evidenza da queste lettere e che l’ampio saggio documentario di Herta Blaukopf posto in calce al volume riassume già nel titolo: «Rivalità e amicizia».
Già, rivalità e amicizia. Ma in quale proporzione? Delle 99 lettere che costituiscono il carteggio, quante la Blaukopf è riuscita finora a raccogliere, 65 sono di Mahler, 34 di Strauss. E’ dunque Mahler a menare la danza: è lui ad avviare la corrispondenza nell’agosto 1888, con una richiesta di aiuto al «caro collega» per l’esecuzione a Monaco della Prima Sinfonia appena composta, e a rilanciarla ogni qual volta abbia qualcosa da chiedergli, qualche osservazione o proposta da fargli. Strauss risponde sempre cordialmente, mostrando vivo interesse per l’attività dell’«amico carissimo» e secondando fin dove gli è possibile i suoi desideri: a ragione si potrà vantare un giorno di aver sostenuto Mahler come pochi altri. Nel fondo, però, si intuisce una costituzionale diversità di carattere: all’eccitazione sempre un po’ nervosa di Mahler, alle sue ricorrenti depressioni e ai suoi entusiastici abbandoni, Strauss oppone una calma riflessione, un piú meditato distacco, talvolta un’ombra di ironia. E’ affascinato dall’indole di quel musicista che si muove nella vita e nell’arte con convinzioni assolute, celando con una passione visionaria il suo fondamentale disadattamento alla realtà, ma non vuole esserne coinvolto, e non ne condivide sempre il sacro fuoco. In alcuni casi cerca anche la via piú mite dei consigli, ma senza troppa speranza di riuscire. Se Mahler come compositore si sente incompreso nel suo «eterno, infruttuoso girovagare, quasi fossi un venditore ambulante che va di casa in casa», Strauss gli risponde in una lettera dell’ 11 luglio 1901 che «è allora necessario, come prima cosa, portare il pubblico ai concerti […]. La vorrei pregare d’essere un poco piú indulgente». Strauss, da uomo pratico, sa che in alcuni casi i modi (cioè i programmi) contano anche piú della sostanza. E in questo senso sollecita l’amico a non pretendere troppo da se stesso e dagli altri. Fatica sprecata. «Uomini come noi», gli ribatte Mahler, «non dovrebbero mai fare concessioni!». Le opinioni di Strauss sulla sua musica sono le uniche che gli interessano, ma non ne sopporta la freddezza, che non appartiene all’ingegno, bensí al lato umano. A Strauss non resterà che concludere: «Lei è, e rimane, di una bella ostinazione! Ma non importa! In Lei questo è addirittura piacevole!».
Se la nostra simpatia va istintivamente a Mahler, per la sua intransigenza e la sua ansia di assoluto, Strauss non manca di impartirci vere lezioni di stile. Le sue lettere sono sempre anche formalmente inappuntabili, regolarmente datate e catalogate; al contrario di Mahler, che le scriveva di getto, senza curarsi di datarle e conservarle. Molte di esse ci illuminano sull’attività direttoriale dei due musicisti, che costituí una parte essenziale del loro impegno. Qui esisteva una concordanza di vedute (per esempio sulle esecuzioni delle opere senza tagli) che testimonia l’enorme funzione che questi pionieri ebbero nello stabilire uno stile interpretativo meno infedele e corrotto di quello allora imperante. Ed è nell’ambito di questa attività (Mahler a Vienna, Strauss in Germania) che si possono leggere giudizi indiretti sulle rispettive opere, sul gusto e le inclinazioni dei due compositori: essi aiutano assai bene a capire come anche due musicisti schierati idealmente sulla stessa sponda faticassero a seguire l’uno le ragioni dell’altro. Ma non su un punto fondamentale: l’importanza della creazione. «Come sta?», scrive Strauss il 18 agosto 1900; «Non compone proprio piú? Sarebbe un vero peccato se lei sacrificasse tutta la sua energia artistica, per la quale nutro realmente la piú grande ammirazione, all’ingrato compito di direttore di teatro! Mai e poi mai si deve fare di un teatro un “”istituto d’arte””!».
Ed è sempre Strauss a cedere in questi casi. Prendendo atto delle difficoltà incontrate da Mahler per imporre a Vienna la Salome, gli scrive il 15 marzo 1906: «E, per amor del cielo, non ponga alcuna questione di gabinetto per la Salome! Noi abbiamo una necessità cosí assoluta di un artista della sua energia, del suo genio e delle sue concezioni nel posto che lei occupa, da non poterci permettere di rischiare per la Salome. E alla fine le cose andranno per il meglio!». Chiamatelo pure pessimismo del cuore e ottimismo della ragione.
Gustav Mahler, Richard Strauss, «Carteggio 1888-1911», trad. di Artemio Focher, SE, pp. 193, lire 25.000
da “”Il Giornale””