“Euripide mi ha insegnata l’arte sottile della vendetta”

Ingmar Bergman debutterà il 2 novembre a Stoccolma con l’opera «Le Baccanti» di Börtz

Stoccolma – Mesi di lavoro sul testo e sulla musica, otto settimane di prove, due teatri «reali» – 1’Operan e il Dramaten – mobilitati in forze: era da molto tempo che Ingmar Bergman non disponeva di un apparato cosi gigantesco per una sua creazione. Sabato 2 novembre debutta in prima mondiale al Teatro Reale di Stoccolma la sua nuova opera Backanterna (Le Baccanti), con musica di Daniel Börtz: «Un’emozione», dice il regista, autore anche dell’adattamento del testo di Euripide, «che non provavo piú da moltissimi anni».

In attesa della prima ha superato felicemente anche l’ultimo scoglio, quello da sempre piú penoso: la conferenza stampa di presentazione. Con i critici del suo Paese non ha mai avuto rapporti facili; ma ora che il mito della socialdemocrazia svedese scricchiola – dando ragione a chi come lui si era battuto contro l’ottusità fiscale e i tagli alla cultura – Bergman torna ad essere una rocca inespugnabile, e può prendersi qualche rivincita. Un esempio? È da poco uscita la seconda parte della sua autobiografia, intitolata Bilder (Immagini): una analisi non meno dura della precedente Lanterna magica sul proprio lavoro nel cinema e nel teatro, scritta in polemica con i critici politicizzati che per anni lo hanno giudicato, frainteso e strumentalizzato. Il prologo dice: «Il mio dramma comincia cosi: un attore scende in platea fra il pubblico, strozza un critico ed elenca da un piccolo libro nero tutte le umiliazioni che ha patito. Poi vomita sul pubblico, esce e si spara una pallottola in testa». E un appunto di diario del 1964: fantasmi di vecchi rancori, non ancora del tutto sopiti.

Alla conferenza stampa Bergman è però piú vivo che mai, lo stesso di sempre con l’immancabile camicia scozze e il giubbotto chiaro, salvo una inedita barba bianca. Inizia a parlare delle Baccanti, e intorno alla lui si crea quell’attenzione, quell’atmosfera magica che ritroveremo qualche ora dopo alle prove, nel suo regno, dove in via eccezionale è ammesso anche qualche estraneo.

che Bergman affronta in teatro, dopo La vedova allegra (negli anni Cinquanta) e La carriera di un libertino (nel

1961). Perché proprio Le Baccanti? «Non è solo l’ultima tragedia di Euripide, è un’opera autobiografica che conclude tutta un’epoca. Furibondo, il vecchio poeta esiliato in Macedonia costruisce il suo muro accostando blocco a blocco, per rappresentare uomini, dei e mondo in un movimento spietato ed insensato sotto un cielo deserto. Questa è la sua vendetta, anche se sa che sarà lui per primo ad esserne la vittima. Con Le Baccanti Euripide mostra il coraggio di spezzare le forme per guardare nel fondo dell’anima con sarcasmo e con pietà: come farà Shakespeare con Re Lear». Per Bergman non avrebbe avuto senso affrontare questo dramma senza la musica: «La musica è essenziale allo svolgersi del rito dionisiaco. È il linguaggio che rappresenta atti, concetti e stati d’animo che la parola non può esprimere».

Autore della musica è il quarantonovenne compositore svedese Daniel Börtz. «Bergman», spiega Börtz, «mi ha illustrato passo per passo la sua idea della tragedia, indicandomi che tipo di intervento dovesse avere la musica. Io ho cercato di tradurre in suoni con la mia sensibilità le sue idee, le sue visioni, servendomi di mezzi tradizionali: la grande orchestra con largo uso delle percussioni e qualche passo registrato su nastro per l’orgia delle Baccanti. E stato Bergman a volere che il canto si alternasse alle parti parlate, sia da sole che accompagnate dalla musica. Le parti corali sono scritte per tredici voci soliste, che frammentano o intensificano il canto e si riuniscono nei punti culminanti come un vero coro».

La protagonista, nel ruolo di Dioniso, è Sylvia Lindenstrom: una «pensionata» dell’Opera che è tornata al teatro «perché a Bergman non si poteva dire di no». Con questa scelta Bergman ha sviluppato le indicazioni di Euripide: «È lui a rappresentarlo come un giovane di bellezza femminea, con lunghi capelli biondi. Non è solo un travestimento. Dioniso è l’essenza del mondo femminile, il mistero che attrae e che dà protezione, calore, vita. Solo quando la sua vendetta su Penteo si sarà consumata tornerà ad essere una figura ambigua, lasciando le donne che hanno combattuto in suo nome nella solitudine. Questa è la vendetta del poeta, un uomo». E sottolinea le parole del coro: «Cos’è mai la saggezza? Quale il dono piú bello degli dei ai mortali? Calcare la mano sul capo ai nemici, forse. Bello è ciò che è caro». Ma poi aggiunge: «Ho voluto che a recitare il racconto del servo che ha assistito alla punizione di Penteo fosse Peter Stormare, il mio Amleto, che mi ricorda non solo nel fisico ciò che ero io da giovane. Le sue ultime parole dicono che la cosa piú bella, l’acquisto piú saggio per gli uomini è essere moderati ed onorare gli dei. Questa è l’altra faccia della tragedia: alla furia e alla ribellione subentrano la tristezza e la rinuncia, il lamento funebre e le lacrime che lavano il sangue. Forse Euripide ha voluto dire che l’egoismo è la vera condanna dell’uomo, la generosità la sua salvezza. Ma questo, allora, io non lo sapevo ancora. Forse l’ho imparato adesso».

 

«Le Baccanti» al Teatro Reale di Stoccolma dal 2 novembre

da “”Il Giornale””

Articoli