Ecco perché il maestro italiano ha rinunciato a dirigere l’Opera di Stato di Vienna
«Il Giornale» ha dato ieri notizia delle dimissioni di Claudio Abbado dalla carica di Musikdirektor dell’Opera di Stato di Vienna, attribuite a motivi di salute. Possiamo provare a tornarci sopra ora, con qualche ragionamento. Anche se la salute degli artisti è, come si sa, specialmente instabile, è evidente che non sia questo il motivo delle dimissioni: solo domenica scorsa Abbado aveva diretto la prima del Boris in piena forma, e per sua stessa ammissione onorerà tutti gli impegni immediati secondo programma. Le ragioni di salute erano però l’unica condizione espressamente prevista per la rescissione di un contratto che era stato rinnovato appena alla fine del 1988 e che lo legava all’Opera di Vienna per una durata di nove anni.
Che cosa è cambiato nel frattempo? Due fatti, essenzialmente. Nel 1989 Abbado è stato nominato direttore stabile e artistico dei Berliner Philharmoniker, e ciò ha trasformato profondamente non solo le prospettive ma anche l’organizzazione della sua carriera: non subito, ma a breve e lunga scadenza. Quasi nello stesso periodo il «sovrintendente» dell’Opera di Vienna, Klaus Helmut Drese, con cui Abbado aveva un rapporto fiduciario molto stretto, è stato sostituito al termine del suo mandato da una diarchia formata da Eberhard Waechter (direttore) e Ioan Holender (segretario generale). I rapporti tra Abbado e i nuovi capi si sono mostrati subito delicati, se non difficili: non tanto, o non solo, perché fra i tre vi fosse incompatibilità di carattere e di idee – Waechter, interpellato, lo nega recisamente – quanto perché Abbado era sempre piú impossibilitato, e non certo per cattiva volontà, a fronteggiare i suoi impegni di Musikdirektor: che implicano non solo l’obbligo di dirigere un certo numero di repliche all’anno in un teatro fondato sul repertorio, ma anche una presenza abbastanza continuativa nel lavoro di programmazione e di direzione artistica.
Con Drese, Abbado aveva proficuamente demandato questo compito a una serie di collaboratori da lui stesso scelti, che poi per vari motivi si sono dispersi altrove. Per venire a patti con i nuovi dirigenti dell’Opera sarebbe occorso qualche tempo: anche perché nelle intenzioni di Waechter e Holender, discutibili ma non prive di fondamento, tutta l’attività della Staatsoper e della Volksoper doveva essere ripensata secondo criteri nuovi. E ciò avrebbe richiesto un impegno che Abbado non era in grado di garantire, preso com’era dalle sue nuove funzioni con gli esigentissimi Berliner Philharmoniker e con le numerose orchestre giovanili a cui non vuole rinunciare. Abbado è troppo intelligente per non capire che le due cariche di fatto avrebbero finito per escludersi a vicenda, e che l’occasione datagli dai Berliner era troppo importante per metterla a repentaglio con un’attività operistica che, in un teatro che da settembre a luglio fa spettacoli tutte le sere, non può essere svolta da un direttore che giustamente anteponga la musica e lo studio agli obblighi d’ufficio.
A questo punto diviene istruttiva la reazione del mondo culturale e musicale viennese. Nel riconoscere unanimemente il contributo dato da Abbado alla diffusione della musica moderna e dello stesso repertorio in versioni di alta qualità anche stilistica — da Rossini a Musorgskij — si pone l’accento sulla necessità di continuare a coinvolgerlo in iniziative speciali, dove Abbado ha sempre dato il meglio di sé; ma si prende anche atto con realismo che a meno di una scelta drastica non avrebbe piú potuto rimanere alla guida artistica della Staatsoper. E non per critica nei suoi confronti od ostilità di chicchessia, ma per una generale constatazione di fatti. Ciò non ha nulla a che vedere con i Wiener Philharmoniker, che sono una istituzione a sé stante, non hanno Musikdirektor e continueranno come prima a fare concerti e dischi con lui come con gli altri.
Per quanto possa apparire clamorosa, la decisione di Abbado è dunque l’unica cosa sensata e onesta che da lui ci si dovesse attendere. Che sia avvenuta in modo così improvviso è dipeso dal precipitare di circostanze che neppure Abbado poteva prevedere. Il resto è solo dietrologia.
da “”Il Giornale””