Per la prima volta a Vienna la versione originale dell’opera di Musorgskij, sabato su Radiotre
Vienna – Fortissimamente voluto da Claudio Abbado contro gli scettici, il Boris Godunov nell’allestimento che Andrej Tarkovskij realizzò a Londra nel 1983 — tre anni prina della morte — è stato ricreato all’Opera di Vienna per la vera inaugurazione della stagione. Era la prima volta che a Vienna si dava il Boris nella versione originale di Musorgskij (quella definitiva del 1874) e in edizione integrale: anche con la scena della cattedrale di San Basilio posta all’inizio dell’ultimo atto, con l’incontro fra Boris e l’Innocente al quale in sede di revisione Musorgskij rinunciò per sospendere ancor piú il giudizio sulle colpe dello zar e sul destino della Russia.
A Tarkovskij è riservata un’ampia retrospettiva, la piú completa finora, nell’ambito del Festival «Wien modern» (il 27 ottobre Abbado stesso dirigerà un concerto con lavori di Nono, Furrer, Kurtag e Rihm a lui dedicati). E in questa cornice si inseriva anche la ripresa della sua unica regia lirica, fedelmente ricostruita da Stephen Lawless. È un Boris che porta riconoscibile l’impronta della sua personalità, in modo emozionante e sotto certi aspetti perfino commovente. Facendo piazza pulita di tutto il ciarpame populistico e sociologico Tarkovskij lo aveva pensato nel segno di una continuità visionaria, per associazioni di idee e di immagini assai poco realistiche: come un sogno, o una preghiera collettiva, dove l’affresco storico divenisse rito e memoria, un riflesso della vita e dell’anima russa piú che un racconto di vicende esistenziali e di scontri politici. Ciò che contava per lui era il clima spirituale e poetico, evocato con tratti impressionistici e movimenti allusivi, con simboli e gesti che scavano nell’intimo; e soprattutto con luci crepuscolari e con atmosfere oscure, quasi provenienti da una notte della coscienza o da uno stato onirico.
La scena fissa di Nicolas Dvigoubsky (a cui si debbono anche i costumi, né troppo sfarzosi né troppo dimessi ma sempre eleganti e appropriati) rappresenta un cortile chiuso da spalti e da celle, le rovine di un monastero o un castello diroccato: i due ambienti fondamentali (il monastero di Novodevoci e il castello di Sandomir dell’atto polacco) sono cosí identificati e accomunati; ma basta la figura di una grande icona sullo sfondo o viceversa l’aggiunta di pochi arredi in primo piano, sempre a vista e nella forma animata dei «quadri viventi», per aprire le prospettive o limitarle ai luoghi in cui si svolge l’azione. Tarkovskij applica alla scena la tecnica cinematografica del piano-sequenza, concentrando o dilatando il fuoco dell’inquadratura drammatica senza alcuna forzatura sul testo e con perfetta sincronia con la musica.
Alcuni momenti risultano indimenticabili. Per esempio l’improvvisa apparizione di Boris (Robert Lloyd, voce
non imponente ma di grande espressività) dietro al muro di folla che ne invoca il nome; e poi, come in un subitaneo ribaltamento della prospettiva, la sua incoronazione vista come se la cattedrale fosse il teatro, e lo zar si trovasse isolato fra noi e l’ignoto. Nella scena del secondo atto l’orologio col carillon è un’enorme pendola che scandisce il tempo sullo sfondo, e il mappamondo un sipario steso sulla scena, sul quale si muovono Boris, suo figlio Feodor e poi Schujskij, ognuno quasi a scrutarlo per impadronirsi fisicamente della terra: nel suo delirio lo zar vivrà un ultimo sussulto di potenza avvolgendosi in questo. Ma già durante il racconto di Pimen (Kurt Rydl) un flash-back aveva visualizzato l’uccisione dello zarevic, e subito dal buio era emerso Grigorij (Emil Ivanov) per prenderne il posto come falso Dimitrij: il gesto con cui sottolinea la sua decisione (un braccio levato in alto a pugno stretto) è lo stesso con cui morirà Boris, travolgendo il trono come ossessionato dai rimorsi. E subito irrompe la folla a trascinare via il suo cadavere, e l’appartamento dello zar si trasforma nella foresta di Kromy, per l’epilogo.
In sintonia con questa visione Abbado mitiga talune asprezze della partitura (giureremmo su qualche intervento nella strumentazione originale) e ne dà una lettura intensa, di ampio respiro, per così dire piú distesa orizzontalmente che bloccata sulle concatenazioni armoniche e sulle contrapposizioni timbriche: morbido il suono (complici anche i Wiener Philharmoniker), equilibrata la tensione drammatica, sensibilissima sempre la resa espressiva. È questo, ci pare, il suo Boris piú bello e piú maturo.
Stupenda la Marina di Marjana Lipovsek, ottime la Sima, la Borowska e la Gonda nel secondo atto, finalmente ripristinato di tutti i pezzi chiusi, efficaci tutti gli altri, al pari del duttilissimo coro. Successo grandioso, incontrastato. Da non perdere, sabato sera su Radiotre, la diffusione della serata.
«Boris Godunov» di Musorgskij, all’Opera di Vienna (repliche domani, i1 13, 16 e 20 ottobre)
da “”Il Giornale””