Ascesa e caduta dell’imperatrice Teodora Pampas

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A Perugia un guasto tecnico rovina l’entrata dell’attrice protagonista di un recital «sinfonico» sulla regina di Bisanzio

Perugia – Sbaglieremo, ma la prima a non essere del tutto soddisfatta alla fine sembrava proprio lei, Irene Papas. Non che il calorosissimo pubblico che esauriva il Teatro Morlacchi le avesse lesinato gli applausi, anzi. Un incidente tecnico ai microfoni l’aveva costretta a interrompere lo spettacolo subito all’inizio e a riprenderlo da capo, un po’ rovinando la bella impressione della sua entrata, accortamente studiata per imporre il fascino di un portamento regale, di una figura importante.

Forse a causa di questo incidente erano saltati anche gli equilibri fonici del sistema di amplificazione, poi attestati su livelli quasi intollerabili, più da discoteca che da «teatro sinfonico», come proponeva oscuramente il titolo. Ma la ragione non è questa. Alla prova dei fatti, lo spettacolo da lei ideato, scritto, diretto e interpretato in prima nazionale per la Sagra Musicale Umbra – Teodora – dava l’impressione di non essere ancora a punto, di soffrire di una costituzionale fragilità che neppure le splendide doti dell’attrice riuscivano sempre a riscattare.

Per un’oretta circa la Papas aveva rievocato la storia di una donna famosa dell’antichità, descrivendone l’ascesa e la caduta con monologhi d’intensa passione. Nella parabola di Teodora, semplice donna del popolo divenuta attrice anche per affermare i suoi diritti all’indipendenza e alla libertà, bollata come prostituta e ciononostante assurta al rango di imperatrice al fianco di Giustiniano, per scoprire poi le nefandezze del regno e ritrarsene disgustata, fino alla trasfigurazione della morte, la Papas vede una metafora della condizione femminile d’ogni tempo, e ne esalta con orgoglio i principi e le scelte. La sua è una storia liberamente reinventata, fortemente interiorizzata in versi che vogliono spiegare gli atti ed esprimere i sentimenti, e che perciò sono anche apertamente, liricamente, didascalici. Va da sé che la Papas li interpreta con grande impegno, mettendo a frutto le sue enormi qualità di attrice: più ancora che con la declamazione, in un italiano esoticamente imperfetto, con l’imponenza e il dominio della recitazione, e soprattutto con la capacità di rendere ogni minimo gesto emozionante, vitale e vero. Ma è un’emozione fine a se stessa, un repertorio di bravura che non si incarna in una realizzazione teatralmente significante.

Anche la presenza della musica non aiuta a definire un clima drammatico. I canti greci e gli inni bizantini promessi in locandina sono riconoscibili soltanto in tre interventi eseguiti dalla Papas con straordinaria partecipazione: una ninna-nanna, un canto funebre e un lamento. Per il resto le musiche di Stefanos Korkolis, impegnato dal vivo al sintetizzatore con Tollis Ketselidis, elaborano questi moduli antichi con ritmi ossessivi e sonorità elettroniche blandamente moderne: in uno stile ibrido di instabile resa.

Prima dello spettacolo della Papas, la Sagra Umbra aveva ospitato un concerto di William Christie e del suo gruppo «Les arts florissants» nel museo di S. Francesco a Montefalco. Splendido concerto, reso ancora più suggestivo dalla cornice degli affreschi di Benozzo Gozzoli, da poco restaurati. Delalande, Campra e Couperin gli autori prescelti: una specie di saggio di ciò che la tradizione sacra era ancora in grado di produrre in Francia nel primo Settecento, fra i trionfi dell’opera e della musica strumentale. Qui una o due voci accompagnate dal basso continuo (Christie si limitava questa volta a coordinare le esecuzioni dall’organo) ottengono con pochi tocchi effetti mirabili di varietà e di ascesi espressiva. Soprattutto le Lecons de Ténèbres di Couperin sono capolavori di miniatura sonora nei quali tecnica, dramma e meditazione coinvolgono le più profonde categorie dello spirito: musica oggi inattuale, di una lontananza struggente.

 

«Teodora», di Irene Papas (replica i125 settembre alla Mostra d’Oltremare di Napoli)

da “”Il Giornale””

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