Muti incendia Cherubini

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A Ravenna in Festival una fiammeggiante esecuzione della “Messa solenne in Sol Maggiore

E il coro della Scala conquista un pubblico “vip”

Ravenna – Oltre alla ripresa della non lontana Lodoisca (musicalmente ancora più matura, e scenicamente qui avvantaggiata dalle dimenzioni ridotte del Teatro Alighieri), Ricardo Muti e i complessi della Scala hanno portato a Ravenna, per il festival dedicato quest’anno alla musica francese, uno dei lavori più impressionanti di Luigi Cherubini, compositore che solo un provincialismo duro a morire e un malinteso senso della storia continuano a relegare in secondo piano: nonostante gli attestati di stima che i maggiori contemporanei, Beethoven in testa, gli tributarono.

I nostri lettori sanno che su queste pagine, e da tempo, Cherubini ha avuto invece l’attenzione critica che merita. Non si tratta dunque che di ribadire verità sacrosante; e se possibile darne ulteriore conferma dopo l’ascolto della Messa solenne in Sol maggiore per coro e orchestra: opera finora raramente eseguita ma di altissimo pregio, del tutto degna di stare accanto ai massimi capolavori del genere sacro, tra le Messe di Haydn e di Mozart e la summa beethoveniana del Missa Solemnis, e tra le non minori prove di Cherubini stesso, Requiem in testa.

Benché questa Messa Solenne in Sol maggiore, ultimata verso la fine del 1819, sia la più vasta composizione di genere sacro scritta da Cherubini tra la monumentale Messa in Re minore (1811) dedicata al principe Nicola II Esterhazy e la Messa in La maggiore per l’incoronazione di Carlo X (1825), la sua fortuna fu ostacolata dalle vicende che ne accompagnarono la nascita. Concepita in origine per l’incoronazione di Luigi XVIII, non poté essere eseguita perché la cerimonia, prima rimandata, venne infine annullata. Rimase così inutilizzata in un cassetto. e fu pubblicata in spartito , appena nel 1867, quando Cherubini era già morto da un quarto di secolo, e in partitura addirittura solo nel 1985: incredibile, ma vero.

Muti ne ha dato un’esecuzione fiammeggiante, di forte tensione drammatica e musicale, con sbalzi e chiaroscuri perentori; della partitura cogliendo i due caratteri che, in una strana, quasi temeraria compresenza, si fronteggiano in modo singolarmente contrastante: l’uno celebrativo, di classico decoro formale e nobilmente manierato, l’altro severamente ispirato, raccolto e riflessivo: e sono aspetti che sembrano percorrere traiettorie diverse, e sfociare da ultimo in una sorta di cupo ma non disperato pessimismo. Senza perdere di vista l’essenziale equilibrio delle parti, Muti ha giustamente puntato sui momenti più malinconici e meditativi (come l’insistita, stupefacente sospensione del1’«Adoramus te» nel Gloria, l’intimo abbandono del «Crucifixus» e soprattutto l’estremo, angosciato «Miserere nobis» che chiude la Messa in funerea dissolvenza) per dare rilievo all’originalità e insieme alla maestria dell’invenzione cherubiniana, restituendola via via nelle sue proprietà stilistiche, con profonda adesione spirituale.

Il coro della Scala (per l’occasione ribattezzato Filarmonico, come l’orchestra) è stato il protagonista del concerto non solo nella Messa di Cherubini, che non prevede solisti, ma anche nei due pezzi sacri di Verdi, Stabat Mater e Te Deum, che occupavano la seconda parte. Per quanto penalizzato dall’acustica all’aperto (neanche la Piazza di San Francesco poteva fare miracoli), si è avuta la sensazione che con Roberto Gabbiani il coro stia acquisendo, in questo repertorio, una fisionomia più delineata e precisa. Gabbiani, che già a Firenze aveva costruito il miglior coro d’Italia, è prima di tutto un musicista colto; e la sua mano si avvertiva nella lucentezza del suono, nelle sfumature e nelle gradazioni dinamiche, nella cura del fraseggio e delle emissioni. Con Muti ha poi un affiatamento eccellente, di lunga data, e ciò dovrebbe dare frutti, come sembra, anche al di fuori dell’opera, nel grande repertorio sinfonico-corale, finora alla Scala alquanto trascurato. Alla serata ha assistito un pubblico assai folto, forse non preparato a ciò che l’attendeva ma a poco a poco conquistato dalla qualità del pensiero musicale, e alla fine convinto che estate in musica non debba necessariamente significare sangue e arena.


Festival di Ravenna (fino al 24 luglio)

da “”Il Giornale””

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