Firenze – Prima che cedesse alla volgarità delle partecipazioni televisive con esibizioni tenorili o a concerti in piazza con sparo di fuochi artificiali l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino vantava tradizioni sinfoniche di nobilissimo rango. Nata, come del resto anche il Festival fiorentino, proprio per dare un impulso nuovo alla conoscenza della musica europea e del suo maggior repertorio, questa orchestra fu diretta da tutti i più grandi nomi italiani e stranieri e raggiuse un livello artistico unico per quei tempi. Ma ciò appartiene alla storia, non alla cronaca.
Oggi l’orchestra del Maggio è un buon complesso, che sembra però aver perso, proprio come il Festival fiorentino, la sua identità e il suo orgoglio.
Ciò non impedisce che improvvisamente si ricordi del suo passato e torni a essere una grande orchestra. Come per esempio nel concerto che venerdì sera ha chiuso un Maggio altalenante, contraddittorio fra i suoi alti e bassi.
Perché ciò avvenisse occorreva che Zubin Mehta deponesse per una sera gli abiti di elegante professionista che sovente si compiace di indossare (vedi Così fan tutte) e si ricordasse di essere un direttore a cui nulla, per tecnica e talento, è virtualmente precluso. Il programma scelto per l’occasione era di quelli che corrono sul filo del rasoio: non tanto per l’ingegnoso e non più che piacevole esercizio di trascrizione compiuto da Berio su musiche di Boccherini (La ritirata notturna di Madrid) quanto per la presenza
dell’Ottava Sinfonia di Beethoven e della temibilissima Fantastica di Berlioz. Due prove di diverso spessore, ma risolte dal direttore e dall’orchestra in modo assai proficuo sul piano esecutivo e interpretativo. L’equilibrio dell’Ottava, sinfonia enigmatica e delicata, era talvolta sbilanciato da un’irruenza oratoria, ma non stravolto o ignorato; e Mehta dimostrava finalmente di avere delle intenzioni, e di lavorare per la musica con trasparenza e impegno. Così la Fantastica, banco di prova con cui non si scherza, ritrovava tutto il fuoco (non artificiale) delle sue invenzioni deliranti o sognanti, con logica e pregnanza di effetti, mirabilmente realizzati da un’orchestra in forma smagliante. Un risultato sotto tutti i profili positivo e importante.
Sul Maggio che si è appena concluso s’impongono due considerazioni.
La prima riguarda la penalizzazione ingiustificata della musica da camera, un altro dei vanti nella storia del Festival. A questa povertà ha posto rimedio, ma solo in coda, un concerto spettacoloso, folgorante, del Trio Chung, formato dal direttore Myung-Whun, anche pianista e musicista eccellente, e delle sue splendide sorelle violinista e violoncellista. Qui ha veramente trionfato la musica, con la serietà delle idee e l’altissima qualità delle emozioni, come al Maggio si vorrebbe sempre. La seconda segnalazione è sulla risposta del pubblico.
Che è stata esemplare non solo per continuità di presenze ma anche per capacità di reazione e di giudizio. Il pubblico non abbandona il Maggio, ma distingue e vigila sulle sue scelte. È un segno importante, soprattutto quando si impone un ripensamento globale della fisionomia del Festival.
Concerto dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Zubin Mehta, replica stasera al Festival di Ravenna.
da “”Il Giornale””