A Roma l’opera con l’orchestra di Santa Cecilia
Un cast di valore sul quale svetta la Waltraute nel ruolo di Norna, una presenza vocale imperiosa e drammatica
Roma – Già il solo fatto di aver portato a termine la Tetralogia di Wagner nei tempi previsti è un merito non da poco per l’Accademia di Santa Cecilia e per Giuseppe Sinopoli, che è oggi l’unico direttore italiano in attività ad avere affrontato questa impresa. Per quanto si possa discutere sull’opportunità di dare Wagner in forma di concerto in una sede acusticamente più che mai inadatta, non foss’altro per gli inevitabili squilibri tra orchestra in primo piano e cantanti sullo sfondo, l’ascolto della Tetralogia è sempre un’avventura meravigliosa: come la risposta del pubblico, davvero appassionata nonostante la collocazione in fine di stagione, ha ancora una volta dimostrato.
Crepuscolo degli Dei, la giornata conclusiva dell’Anello del Nibelungo, è opera di proporzioni colossali, che pone cimenti ardui sia al direttore sia ai cantanti. La compagnia raccolta per l’occasione a Roma confermava che una certa carenza di voci wagneriane esiste, ed è un problema reale. A cominciare dai grandi ruoli. Janis Martin è un’artista di valore, ma non è una Brunilde svettante ed eroica; del resto, dov’è oggi questa Brunilde ideale? Non meno di lei, Reiner Goldberg (Sigfrido) è un veterano della parte, di cui conosce ogni sfumatura: ma la voce è usurata, sventrata negli acuti e poco corposa. A eccezione di Hanna Schwarz Waltraute (e prima Norna),di imperiosa presenza vocale e drammatica, gli altri non erano sempre all’altezza della situazione: ma bisognerà pur riconoscere – pena la minaccia della scomparsa di Wagner dal repertorio, e non solo da noi – che oggi questa altezza ci sfugge, e apprezzare dunque almeno l’onesto, serio impegno di Rydl (Hagen), Hillebrandt (Alberich), Schulte (Gunther), Devol (Gutrune e terza Norna), e delle signore Norne e figlie del Reno (oltre alle suddette, Carter, Know e Katagiri).
Protagonista di questa edizione era però in tutti i sensi il direttore. Sinopoli va all’assalto di Wagner con una sicurezza che a Wagner stesso non sarebbe dispiaciuta, ma che nasconde molti dubbi. La sua visione del Crepuscolo è tutta sbilanciata dalla parte delle forze del male, è la celebrazione di un annientamento dai toni apocalittici. Nel suo modo di forzare fino all’estremo questo aspetto della partitura – che non è l’unico, e non è comunque sempre dominante – emerge alla fine quasi un imperativo categorico della negatività, che si manifesta in una ricerca analitica spinta alle radici del linguaggio prima ancora che al cuore del dramma. Il radicalismo di Sinopoli è evidente nella rinuncia a raccontare per disteso una storia, a seguirne l’arco drammatico e a dare importanza ai valori del canto (ma può esistere un Wagner senza canto?), per puntare invece sulla esaltazione dei particolari strumentali più acidi e oscuri, sulla dissezione delle singole scene, odi frammenti di esse. Tutto ciò avviene in un modo così personale e singolarmente eccessivo – nella scelta delle sonorità e dei tempi, nella squadratura delle frasi, nella violenta escursione dell’agogica e della dinamica – da sembrare, più che il risultato di uno studio a tavolino, un’eruzione dell’istinto, uno sfogo quasi viscerale. E tuttavia curioso che un musicista così colto spregi a tal punto la precisione degli attacchi, la varietà del suono, l’equilibrio del fraseggio, che qui non dipendono solo da fattori di tecnica o da sensibilità esasperata.
«Götterdämmerung» di Wagner a Santa Cecilia, repliche domani e il 30 giugno
da “”Il Giornale””