Al Politeama «Das Liebesverbot» diretto da Bareza
Successo per l’opera che lo stesso compositore considerò non riuscita
Palermo – «Ho errato un tempo e ora vorrei espiare; / come liberarmi del peccato di gioventù? / La sua opera depongo umilmente ai tuoi piedi, / perché la tua grazia la redima». Fra i tanti doni musicali che Richard Wagner offrì per il Natale del 1866 a re Ludwig di Baviera, che lo aveva salvato dal fallimento, vi era anche Das Liebesverbot, (il divieto d’amare) la «grosse komische Oper» in due atti composta nel 1836 a ventitré anni: il suo secondo, o terzo, ove si tenga conto anche delle Nozze incompiute, tentativo nel campo dell’opera. Su questo «peccato di gioventù» Wagner si espresse in seguito sempre in termini negativi: odiava quell’opera e il tempo in cui era nata.
L’esperienza insegna che gli artisti non sono sempre i migliori giudici delle proprie opere, soprattutto se giovanili. Nel caso di Wagner i mutamenti radicali nella concezione del dramma musicale autorizzavano e anzi richiedevano la scomunica della sua preistoria. Escluso tanto da Bayreuth quanto da ogni altro luogo di culto wagneriano Das Liebesverbot riemerse nel 1983 a Monaco e fu la grande sorpresa dell’integrale, promossa da Wolfang Sawallisch, che lo diresse da par suo in una strepitosa messa in scena di Ponnelle. Fu un segnale che nessuno, da noi, raccolse. Nessuno fino a oggi. Bisognava attendere che si muovesse un teatro intelligente, guidato da persone fini che della cultura hanno un’idea non volgare, perché ciò avvenisse. E Palermo, città legata a luminose memorie wagneriane, ha messo a segno un bel colpo, da far invidia a molti. Proprio a Palermo, d’altronde, Wagner ambientò la sua opera «italiana», ispirandosi alla commedia Misura per misura del suo idolo Shakespeare. Nella quale si tratta di un divieto d’amare (questo il significato del titolo) imposto da un governatore ipocrita e invidioso della libertà con cui il popolo celebra il carnevale. Due coppie simmetriche (due tenori e due soprani, figure scolpite con chiarezza di segni e di slanci) intrecciano le loro prove sentimentali, tra il serio e l’umoristico, sullo sfondo corale della più sfrenata e sensuale gioia di vivere: simbolo di ciò che Wagner esigeva nei dominii non solo della vita ma anche del teatro. Alla fine il governatore, beffato dall’intraprendenza delle donne, al solito più decise e spigliate degli uomini, entrerà a far parte della festa generale, dimenticando in un tripudio di marce e mascherate il suo assurdo divieto morale.
Di fronte a quest’opera si è tentati di separare ciò che anticipa il Wagner seguente – e non mancano certo le occasioni – da ciò che invece sembra appartenere all’armamentario tecnico ed espressivo del teatro del tempo: tedesco, ma anche francese e italiano; con in primo piano Rossini, quello comico, e il molto ammirato Bellini nelle effusioni melodiche. L’opera ha comunque una sua vitalità e una freschezza che non la fa mai apparire di routine. Tutto vi è per così dire eccessivo: dalle incredibili situazioni drammatiche alla vocalità, spinta a limiti estremi. Ma la capacità di raccontare con l’orchestra e di tenere in pugno i fili dell’azione mostra una sicurezza che nessuno dei musicisti contemporanei possedeva. Profusi a piene mani, i tesori della musica si accumulano con una generosità che sfiora la prodigalità. L’estro aveva condotto Wagner assai presto là dove molti colleghi non sarebbero giunti neppure alla fine della loro carriera: la piena, matura conquista della sua arte fu il frutto di una severa autodisciplina nella progressiva riduzione di un’inventiva all’inizio debordante. Tutto ciò dall’esecuzione palermitana non si intuiva soltanto. Musicalmente guidata con polso da Niksa Bareza, presentava una compagnia di canto complessivamente all’altezza della prova ardua: dalla bella voce di basso di David Pittman-Jennings (il governatore) a quelle ben rilevate dei due tenori, James Wagner-Warrington e Robert Schunk. Svettanti le donne: Gabriele Maria Ronge, Alessandra Ruffini e la deliziosa cameriera di Carmen Anhorn. Bene assortiti i comprimari. Le scene e i costumi di Filippo Sanjust, ricreati su semplici «impressioni» e fantasie di una Sicilia irreale, davano un quadro pertinente, anche se mancava lo sviluppo di una regia adeguata, di Sanjust stesso.
«Das Liebesverbot» di Wagner al Politeama Garibaldi di Palermo, (repliche domani, il 12, 21e 23 maggio)