Il grande direttore a Santa Cecilia
Un’incandescente «Quarta» di Schumann e una più misurata «Sesta» di Beethoven
Roma – Neppure una stagione ricca e importante come quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia riesce a tenere in caldo i capolavori e a farli diventare repertorio. Perciò sono rari i concerti nei quali accada di sentire insieme due grandi Sinfonie dell’Ottocento. E quando accade – per esempio la Quarta di Schumann e la Sesta di Beethoven: un viaggio esemplare da re minore a fa maggiore nel cuore e ai confini del Romanticismo – la riposta è immancabilmente la stessa: presenza massiccia di pubblico, che fa l’esaurito per quattro sere (e a onor del vero quattro repliche di uno stesso programma non sono una consuetudine neppure all’estero), impegno strenuo dell’orchestra, eccitazione ed entusiasmo: e da ultimo l’impressione che qualcosa manchi sempre per vivere queste occasioni come un fatto naturale e acquisito.
Erano molti anni che l’orchestra di Santa Cecilia non suonava la Quarta Sinfonia di Schumann; e a dirigerla l’ultima volta era stato sempre lui, Wolfgang Sawallisch, che a Roma è quasi di casa (quest’anno con ben sette concerti e due programmi: da non perdere, fra sette giorni, l’occasione di ascoltare un Hindemith raro e bellissimo, quello del Requiem su testo di Walt Whitman). L’affiatamento di Sawallisch con l’orchestra è quasi perfetto; ma nel caso della Sinfonia di Schumann si avvertiva qualche sfasatura. La ragione è semplice. Di Schumann, Sawallisch ha un’idea molto personale, che per essere realizzata adeguatamente richiederebbe una padronanza assoluta del testo da parte dell’orchestra. Qualche volta Sawallisch si accontenta di una resa professionale di alta routine, che spieghi e comunichi la musica con chiarezza, e questa è una delle sue grandi forze; ma quando decide di andare a fondo in un autore, diviene un interprete che non solo ha pochi raffronti al mondo ma che è addirittura imprevedibile e difficile da seguire fino in fondo.
Sawallisch affronta la Quarta come un poema sinfonico di incandescente temperatura espressiva. Abolisce le fermate fra un tempo e l’altro (ogni volta un nuovo slancio verso ciò che segue), serra i tempi fino allo spasimo, anche nella Romanza del secondo movimento, sostenuta con un vigore che sembra voler dare continuità alle digressioni più fantastiche. Ma poi si abbandona a «rubati» che fioriscono come emozionanti improvvisazioni, animando le parti con quella sua suprema capacità di analisi e di sintesi. Vorrebbe le più sottili differenziazioni dei piani sonori, prontezza di scatto e flessibilità nelle distensioni, cura nel dipanare una trama fatta di squilibri schizofrenici continuamente riportati a dimensioni espressive e a riflessioni sulla forma. Molto di ciò ottiene. L’orchestra si esalta, risponde con grande impegno, ma non può dissimulare del tutto la fatica della tensione.
Nella Pastorale questo clima così tempestoso si rasserena e si acquieta. Sawallisch, che proprio in questi mesi sta incidendo tutte le sinfonie di Beethoven con l’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, ne ha una visione classica, in piena sintonia con la grande tradizione tedesca. La scorrevolezza dei tempi è qui espressione di una misura che si compiace non soltanto della narrazione dei diversi paesaggi della natura e dell’anima ma anche di una serenità raggiunta nella pienezza dei pensieri e dei sentimenti. E l’orchestra di Santa Cecilia lo segue con molta duttilità, con calore di suono negli archi e nettezza di rilievi negli strumentini: denunciando tuttavia qualche grave mancanza nel clarinetto e nel corno, francamente non all’altezza della prima orchestra sinfonica italiana.
Programmi come questi sono un toccasana e aiutano la crescita musicale di tutti. Ce ne vorrebbero di più, e più spesso. Magari con Sawallisch, che ha ufficialmente annunciato il suo ritiro da Monaco alla fine del 1992 per cedere il posto di direttore stabile a Peter Schneider. Da allora sarà a tutti gli effetti un artista libero.
Concerto diretto da Wolfgang Sawallisch all’Accademia di Santa Cecilia (repliche stasera e domani).
da “”Il Giornale””