Don Giovanni salvato da Abbado e da Raimondi

D

A Vienna nel deludente allestimento di Bondy

Vienna – Mancava da diciotto anni una nuova produzione del Don Giovanni a Vienna: l’ultima fu diretta da Krips, regista Zeffirelli. Per il primo suo Mozart nel teatro di cui è direttore musicale (e il secondo in assoluto, dopo Le nozze di Figaro alla Scala nei primi anni Settanta), Claudio Abbado ha scelto una strada assai diversa, quella della innovazione e del rischio, puntando su un regista di forte personalità, Luc Bondy, e su uno scenografo non di routine, Eric Wonder: l’uno e l’altro lontanissimi, per cultura e sensibilità, dalla tradizione, non soltanto viennese. Ospitato al Theater an der Wien anziché alla Staatsoper per consentire un lungo periodo di prove nell’ambito del festival, il nuovo allestimento ha avuto un successo contrastato, con molte ovazioni per il direttore e la compagnia di canto e aperti dissensi per la realizzazione scenica Come ormai è la norma da quando il teatro di regia non conformista, con i suoi pregi e i suoi difetti, ha preso saldamente in mano le sorti dell’opera lirica.

I pregi vanno individuati in un lavoro spettacoloso sui cantanti, che si muovono in palcoscenico come veri attori, e in un uso degli spazi teatrali molto denso e suggestivo, oltre che tecnicamente perfetto; i difetti invece nella tendenza a sovrapporre al testo una lettura speciosa, del tutto indifferente ai riferimenti storici e ambientali e concentrata sul dramma in sé, quasi astratto dalla drammaturgia musicale: spesso per risolverne i punti culminanti con trovate ed effetti plateali. Sulla linea di un lavoro di regia esasperato ed ambiziosissimo, condotto con luciferina abilità, Bondy alterna momenti di grande penetrazione psicologica – per esempio nell’intreccio di passioni e di ambiguità che lega il destino dei personaggi a quello del protagonista, visto come un polo di attrazione negativo e distruttivo – e caduta in un cattivo gusto fine a se stesso e talvolta greve: come nell’accentuazione dell’isteria erotica di Donna Elvira, nella riduzione di Zerlina ad assatanata del sesso, di Ottavio a pomposo eroe corazzato. Ogni qualvolta l’azione si ferma per lasciare posto alle arie, Bondy sembra preoccupato di trovare una soluzione per giustificare la sosta: e non sempre la cerca nella musica.

Certo, non è aiutato dalle scene di Wonder, ora di metafisica astrattezza, quasi surreali, ora invece evocatrici di paesaggi naturalistici, con precisi riferimenti pittorici a Van Gogh: senza che tra i due intercorra una relazione chiara. Si può supporre che alla concretezza delle situazioni in cui Don Giovanni si viene a trovare nel corso delle sue imprese libertine si voglia opporre il simbolo universale, fuori del tempo e dello spazio, del suo personaggio in lotta con se stesso e col mondo, in vertiginosa ascesa per rendere più tragica la caduta; ma allora non si capisce perché nel momento cruciale in cui i due piani si saldano – la scena finale – tutto si è risolto in un improbabile rifugio alpino con immense vetrate su vette innevate ed illuminate dal sole al crepuscolo, dove l’arrivo dei suonatori e dei personaggi per lo scioglimento prima tragico e poi lieto sembra governato più dagli orari delle teleferiche che dall’esplodere delle tensioni nel dramma E ridicolo è poi far fare ai sopravvissuti la passerella a luci accese come in una rivista di varietà, nel sestetto finale.

La serietà dell’operazione rimaneva così affidata alla direzione musicale di ClaudioAbbado. I1 quale ha scelto la via della prudenza e della saggezza, dell’equilibrio e della bellissima resa orchestrale tanto nell’incalzante tensione degli insiemi quanto nella straordinaria calibratura espressiva delle arie. Il nitore della sua direzione ha reso in modo assai convincente il senso del dramma, dipanato oltretutto con una capacità di raccontare e di legare le scene in una continuità mozzafiato, senza mai forzare troppo i lati patetici o scadere nel caricaturale in quelli buffi. Ci si attendeva forse da lui una maggiore intraprendenza nel distinguere e caratterizzare i diversi aspetti dell’opera e nel sottolineare i lati più moderni del linguaggio (nella scena del cimitero, per esempio, per altro compromessa dalla visione scenica di una enorme piattaforma vuota, su cui si staglia l’ombra gigantesca di una statua invisibile). E anche sullo stile con cui venivano eseguiti i recitativi s’imponeva qualche perplessità: perché se Abbado giustamente ripristinava il basso continuo per l’accompagnamento, con abbondanza di cadenze e fioriture, inammissibile era la riduzione di molti di essi a un parlato accelerato e spesso incomprensibile.

Ruggero Raimondi tornava a fare Don Giovanni dopo le prove del passato. Anche quando si rimpiange la freschezza vocale di un tempo, si resta ammirati dall’intelligenza e dalla classe dell’interprete. Ch’egli faccia di. necessità virtù nel disegnare un personaggio ormai vecchio, disilluso e cinico, di una freddezza glaciale, votato alla morte e desideroso di raggiungerla al più presto, non si può affermare con certezza: certo il suo Don Giovanni è un concentrato di nefandezze e insensibilità, che si accanisce verso chi lo circonda non meno che verso se stesso, Ha di fronte un Leporello giovanile, scattante e baldanzoso (Lucio Gallo): davvero è poco credibile – e qui Bondy non fa nulla per sottrarre la scena ai consueti rotolamenti, lazzi e brancichii -il travestimento del secondo atto. Ma tanto più convincente riesce invece la sottile ostilità nei confronti del padrone, quel tono disincantato e critico con cui ne osserva e commenta le azioni.

Ma in tutta la compagnia vocale si sarebbe assai vicini all’ideale. Cheryl Studer è oggi una Donna Anna insostituibile, perfettamente a posto dal punto di vista stilistico e vocale; Karita Mattila (Donna Elvira) supplisce con un temperamento ardente a certe asprezze della sua voce sfolgorante; Marie McLaughlin e Carlos Chausson (Zerlina e Masetto) hanno una notevole personalità e voci fresche; Hans Peter Blokwitz (Don Ottavio) bella proprietà di fraseggio e nobiltà di espressione; solo Anatoli Kotcherga (il Commendatore) doveva bilanciare con la forza un’intonazione oscillante. Tutti hanno dato il meglio di sé, in ogni senso, assecondando con abnegazione totale le intenzioni del regista, che fatalmente li esponeva a qualche rischio di concitazione. E ciò sarebbe stato assai più pericoloso se Abbado non avesse governato il gioco di squadra con tanta prontezza e attenzione. Tutto sommato va a lui il merito indiscutibile di aver condotto in porto l’impresa nel rispetto, almeno, della verità e dell’integrità della musica di Mozart.

 

«Don Giovanni» di Mozart al Theater an der Wien (repliche oggi, 18, 20, 22,25 maggio)

da “”Il Giornale””

Articoli