La Messa è finita

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La liturgia alla base della musica secondo Georgiades

Dopo che nel secondo dopoguerra la figura e l’opera di Theodor Wiesengrund Adorno erano state il costante punto di riferimento della musicologia tedesca, nel bene come nel male, in questi ultimi anni il ruolo di guida altrettanto imitata è stato assunto da Carl Dahlhaus, rappresentante di una Musikwissenschaft di ispirazione sistematica nella cui metodologia la storia delle idee cara ad Adorno s’intreccia con la storia degli stili compositivi e della loro ricezione, termine, quest’ultimo, ormai pomposamente entrato anche nel nostro vocabolario musicale. Esce ora un volumetto degno d’attenzione di colui che nel mondo accademico tedesco fu considerato a lungo come l’anti-Dahlhaus: il greco Thrasybulos Georgiades, ateniese trapiantato in Germania e creatore all’università di Monaco di una scuola di pensiero sull’analisi musicale che si impone come un modello di rigore e di acume critico.

Musik und Sprache (questo il titolo originale del nostro volumetto) è un folgorante compendio di storia della musica sotto l’angolo dei rapporti fra musica e parole (il significato ambivalente del tedesco Sprache, che è lingua e linguaggio insieme, si perde inevitabilmente nella traduzione italiana); più precisamente, sul divenire della musica occidentale e sull’evoluzione della musica come linguaggio còlta nella prospettiva della composizione della Messa.

Nella Messa, infatti , Georgiades vede la possibilità di mettere a confronto musica e linguaggio e di indagarne le reciproche influenze sulla base della continuità di una forma e di un testo che, dopc aver segnato il momento della nascita della musica occidentale (<<il testo liturgico costituisce la porta forzata della musica nella storia spirituale cristiano-occidentale>>), si evolve riunendo in uno tre elementi distinti: <<stato di fatto della  musica, relazione con la lingua, situazione liturgica». In altri termini, la costante del testo permette di osservare come la musica reagisca nel variare delle epoche e delle condizioni concomitanti alla creazione della Messa, e come si attui e con quali conseguenze, la progressiva conquista dell’autonomia della composizione nella sua individuale organicità e libertà di pensiero.

Questo libro è però ben più che una storia del genere della Messa. Giacché Georgiades ne allarga il contesto in successione cronologica tutti quei fenomeni che in qualche misura possono chiarire le relazioni fra musica e testo, intonazione e parola: anche nella musica strumentale che apparentemente ne è priva o se ne distacca. Nodo centrale di tutta la trattazione di Georgiades è la funzione del ritmo che riveste o interpreta le strutture linguistiche, divenendo allo stesso tempo una realtà musicale: dall’ordine vincolante della metrica quantitativa antica, sulla cui natura Georgiades offre illuminanti esempi, alla nuova prosa della metrica accentuativa; sino all’emancipazione della musica dalle norme linguistiche, che apre le porte non solo a una più ampia libertà inventiva ma anche ad arbitrii e fratture insite nel concetto stesso di modernità. Che per Georgiades si identifica essenzialmente con uno squilibrio. Questa tesi troverà nel suo fondamentale libro su Schubert (Musik und Lyrik del 1967, preludio agli scritti rimasti incompiuti dell’ultimo periodo) una formulazione definitiva e acutissima sul terreno del classicismo viennese e di quella interruzione della continuità rappresentata dalla musica romantica.

Georgiades vede il passaggio alla musica dell’età moderna non già con l’invenzione del basso continuo e del melodramma intorno al 1600 ma prima, nell’opera di Palestrina. Con lui la Messa tocca l’apice di una completa compenetrazione spirituale e linguistica (nel duplice senso propriamente linguistico e musicale); ma segna anche il principio di una nuova epoca in cui la musica diviene simbolo dello spirito e della libertà. Si coglie qui il nocciolo del pensiero storico-critico di Georgiades: la modernità non nasce dalla rottura dell’antico operata dal nuovo, ma dalla piena, più alta realizzazione di tutte le condizioni di un’epoca storicamente conchiusa. È li, quando si raggiunge questo culmine, che avviene il passaggio; non quando si imboccano consapevolmente strade nuove, radicalmente diverse dal passato. In tali momenti il cambiamento è già avvenuto, e ha inizio una fase nuova, scissa dagli stadi precedenti, del processo evolutivo della musica.

Culmine e fase finale di questo processo è il classicismo viennese; dopo Beethoven, nella storia della musica si produce un mutamento radicale, irreversibile: «Quando si concepisce il discorso, e dunque la realtà, come attualità, come avvenimento, quando si concepisce come tratto caratteristico essenziale dell’uomo, l’uomo in quanto essere che agisce, non c’è più ritorno agli stadi precedenti. Non è però pensabile neanche un futuro». La conclusione di Georgiades è cosa che ci riguarda, oggi più che mai, drammaticamente: «In luogo di un veicolo di significato obbligato o corporeo, subentra un’ombra, il naturalismo, l’unilaterale ostentazione dell’elemento privato-soggettivo, dell’egocentrico, dell’esperienza vissuta». Divenuti consapevoli del tempo in quanto musica, abbiamo perduto la dimensione della musica in quanto «tempo riempito».

 

Thrasybulos Georgiades, «Musica e linguaggio», trad. di Oddo Piero Bertini, Guida, pp. 176, lire 22.000

da “”Il Giornale””

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