Bergman porta in scena Shakespeare a Stoccolma
Un’altra mossa vittoriosa del maestro svedese nella partita a scacchi con l’arte. Il mistero di un “Racconto d’inverno”
Stoccolma – Questo Racconto d’inverno di Shakespeare messo in scena da Ingmar Bergman al Dramaten è uno spettacolo di bellezza e intensità tali da lasciare senza fiato. Anche chi ne conosce magie e alchimie.
Bergman si è rifatto liberamente al testo immaginando che a recitarlo siano gli invitati di una festa dì Natale in un anno imprecisato dell’Ottocento, all’epoca in cui il poeta e compositore Almquist allietava con i suoi canti senza accompagnamento, intitolati “”Sogni””, i salotti dell’aristocrazia svedese. Prima che lo spettacolo cominci siamo introdotti nell’atmosfera della festa, con balli e musica, e vediamo quelli che poi diventeranno i personaggi della vicenda in abito da sera, intenti a salutarsi e a prepararsi; riconoscibile, col suo vestito alla marinara, ecco Alexander, il figlio: porta con sé un teatrino in miniatura. Inframezzato da canzoni e pezzi per pianoforte, lo spettacolo dimentica presto l’occasione che l’ha originato e diventa, bergmanianamente, una celebrazione della magia del teatro, che con le sue illusioni e le sue verità scava nel fondo dell’anima, e interpreta la vita nei suoi aspetti più seri e comici, alternando la notte della tragedia all’alba della commedia. Ma se tutto è giocato sull’ambiguità, diviene presto impossibile separare realtà e finzione, immedesimazione e distacco: chi recita, e chi fa sul serio questa volta? Quando sul più bello minaccia di sfuggire di mano, il gioco viene interrotto dall’invito a sedersi a tavola per la cena: alla fine, la padrona di casa, che nella recita si è riservata la parte del Tempo, si attarda sulla cena vuota e depone sul palcoscenico nudo una sveglia che coi suoi rintocchi prolunga indefinitamente il senso dell’attesa; e si svela essere la Morte stessa.
Bergman accentua i tratti fiabeschi immettendoli in un clima di saga nordica, con luci crepuscolari e abiti chiaramente ispirati alle leggende della sua terra: fino a fare di questo Racconto d’inverno una sorta di rivisitazione del Peer Gynt. L’improvisa gelosia di Leonte e ciò che ne consegue è però una lucida descrizione del delirio dei sentimenti e delle passioni, apparentemente senza ragione: qui Bergman non risparmia niente del suo mondo interiore e delle sue allucinazioni febbrili. Il versante della commedia, che si congiunge alla storia principale, mette in mostra il genio dell’inventore di situazioni teatrali un po’ folli e paradossali, che scatenano le allusioni in esilaranti parodie e scenette: sulle quali peò c’è sempre l’ombra della nostalgia, del sorriso e della tenerezza. Di questo stato d’animo trasfigurante è addirittura impregnata la figura di Perdita, creatura dolcisima in cui Bergman riversa il suo amore per l’eterno femminino, entità concreta e misteriosa insieme.
Attori di provata fede bergmaniana gareggiano tra loro in bravura e personalità: difficile stabilire una graduatoria, impossibile non ricordare almeno Börje Ahlstedt (Leonte), Pernilla August (Ermione), Kristina Törnqvist (Perdita) e la solare, ispirata Bibi Andersson (Paolina, la tessitrice del racconto).
da “”la Voce””